lunedì 31 dicembre 2007

Buona fortuna, Calabria


Doveva essere l’anno della svolta, il 2007, per la Calabria; ha rischiato di diventarlo, in negativo.Ci lasciamo alle spalle dodici mesi da incubo.

Sul piano sociale, sotto il profilo economico ed anche con riguardo ad un assedio, ormai asfissiante della criminalità.

Lo si è detto tante volte, in passato, ma stavolta l’allarme è non solo fondato, ma soprattutto terribilmente reale e concreto: la Calabria non può più attendere.Ai calabresi servono risposte sul piano dei fatti e non dei proclami. I Calabresi vogliono, devono sapere se questa terra – con sacrificio, in tempi medio-brevi – possa individuare una via, una strada per lo sviluppo, per garantire un futuro a chi decide di restare.

Perché per molti, per troppi, la scelta è nuovamente quella di qualche decennio fa: partire o restare, tutto sul rosso o tutto sul nero.E la storia ha insegnato che solo una cosa è peggio delle decisioni sbagliate: non decidere.E di decisioni rimaste nel cassetto, di parole forti e di rottura rimaste in gola il recente passato è pieno zeppo.Né pare tranquillizzante, alla luce del recente passato, il fatto che una nuova valanga di soldi si stia per abbattere sulla Calabria.

Troppe volte le opportunità di sviluppo hanno fatto rima con gli appetiti delle cosche e con l’incapacità della politica di proteggerle da questo tipo di aggressioni.

Troppe volte la gente di Calabria ha dovuto rinfoderare sogni di un futuro normale dove a brillare non fosse solo il mare baciato dal sole, miracolo della natura che per decenni gli uomini hanno provato a portare all’incasso in proprio per nascondere peccati spesso mortali.

Troppe volte la Calabria si è accorta di avere un gran futuro dietro le spalle.

Con il 2008 la classe dirigente, tutta, non solo quella politica, vedrà azzerare scuse ad attenuanti, “se” e “ma”.

Si ode distintamente la campanella che, contemporaneamente, segna la fine della ricreazione e l’inizio dell’ultimo giro.

venerdì 7 dicembre 2007

Poveri noi!


Loiero ha dichiarato che la costruzione dei 4 nuovi ospedali calabresi, finanziata con nuovi fondi giunti ad hoc da Roma, sarà affidata alla Protezione Civile.
La scelta di affidare alla protezione civile la realizzazione delle quattro strutture” – ha precisato il Governatore – è tutta nostra. Riteniamo che solo in questo modo si possano avere certezze sui tempi di costruzione e sul superamento di eventuali intoppi tecnico-burocratici”.
Dopo questa possiamo veramente dire di aver visto tutto. In Calabria, insomma, la costruzione di un ospedale è equiparata alla gestione dei danno di un terremoto o di un incendio!
Poveri noi!

martedì 27 novembre 2007

Quale democrazia?



Mentre il Paese affonda la politica si arrovella alla ricerca del modo migliore per gestire sè stessa.


Beninteso, l'argomento non è di secondaria importanza, visto che se i meccanismi di governo ed amministrazione in genere restano impantanati, nessuna scelta - dalla più facile alla più complicata - è possibile.

Mi trovo d'accordo con Veltroni e Berlusconi. In sostanza chi riscuote il maggior numero dei consensi non può avere le mani legate e diventare, così, schiavo di partiti che rappresentano realtà numericamente insignificanti.


E' accaduto tra Berlusconi e Bossi, accade ad ogni piè sospinto con Veltroni ostaggio ora di Bertinotti, ora di Diliberto, ora di Mastella.


Non se ne può più!


La democrazia non è un sistema perfetto, probabilmente è solo il meno peggio che c'è, ma una cosa è certa: se è vero che i diritti delle minoranza sono sacrosanti è altrettanto vero che, però, la maggioranza del Paese, di nessun Paese, non può diventarne schiavo

martedì 13 novembre 2007

Soli e talvolta incapaci


Ci troviamo a valutare, a commentare l'ennesima tragedia.

Ma stavolta, sia ben chiaro, il calcio non c'entra nulla.

L'episodio dell'area di servizio di Arezzo non va sopravvalutato nella sua portata generale, ma, comunque, indica un dato ormai ineludibile; tra i mille problemi che attanagliano il Paese e che, negli anni, la classe politica ha lasciato marcire ed ingigantire, quello relativo alla sicurezza, al disagio giovanile, alla maleducazione, alle sanzioni inadeguate, ad un'educazione che, nella sua inefficacia è pari solo alla repressione, ce n'è un altro che fa da detonatore a tutte queste micce accese contemporaneamente.

Diciamolo a chiare lettere: la Polizia italiana è inadeguata, per numero e, talvolta, anche per preparazione. Il rigore morale con il quale il capo della Polizia, Manganelli (nome omen...) sta affrontando la tragedia di Arezzo è esemplare, ma resta il fatto che sempre più spesso i rappresentanti delle Forze dell'Ordine sono impreparate, anche sul piano emotivo a gestire l'emergenza, almeno quando sono lasciati a loro stessi, a decisioni improvvise.

Diverso, come nel caso dell'assalto a Roma, l'approccio se il coordinamento regge (anche se la storia ci ha insegnato che anche in casi analoghi talvolta il sistema non regge - vedi G8).

Ma su una casa che brucia (leggi criminalità e vandalismo diffusi nel Paese) la sensazione è che dalle pompe di chi dovrebbe spegnere l'incendio spesso esca benzina.

E tutto ciò sulla coscienza ce l'ha chi, anno dopo anno, ha tagliato i fondi per istruire, gestire, migliorare chi va sulle strade.

Che molto, troppo spesso, è solo con sè stesso e la sua incapacità

venerdì 2 novembre 2007

Decidere di non decidere


Il Paese, questo maledetto Paese, ha compreso che quello degli immigrati è un problema nazionale. Lo comprende - naturalmente - dopo l'ennesimo fatto di violenza e sangue.

lo comprende in maniera traumatica ed a seguito di un'altra irruzione di orrore fin dentro casa.

Eppure la problematica è seria ed attuale da anni.

Altri Paesi hanno da tempo affrontato e quanto meno contenuto la problematica.

L'Italia, come sempre, ha deciso di non decidere, lasciando al tempo lo sviluppo di un problema che, come tutte le cose non arginate per tempo, ora ci sta cadendo addosso.

Ma la colpa è solo nostra.

venerdì 26 ottobre 2007

Un mostro che mangia un pò di sè


Lo confesso: l'idea di un'ennesima puntata di "Annozero" sul caso-De Magistris non mi entusiasmava, nè, tantomeno, mi stuzzicava particolarmente l'ennesima apparizione televisiva del Pm di Catanzaro, unitamente ad una sua collega che pure apprezzo moltissimo, Clementina Forleo.

E però un pò per curiosità e tanto per dovere professionale l'ho vista tutta, dall'inizio alla fine.

Finalmente ho apprezzato il caso trattato per come dovrebbe esserlo. Con morigeratezza e, soprattutto, in maniera tecnica. Lontano dagli strepiti di una piazza che capisce poco (non per colpa sua) e si agita come il vento.

Il parterre, d'altra parte, era di tutto rispetto: oltre a De Magistris e Forleo anche un altro magistrato di spessore, Ingroia, ed uno dei padri della procedura penale italiana, Grevi.

Il dibattito è stato franco, aperto e, ripeto, tecnico.

Lo stesso De Magistris ha sottolineato che è tempo di blindare l'indipendenza della magistratura.

Ma - ha sottolineato - la situazione più seria riguarda la cosiddetta indipendenza interna.

Quella derivante dalle intromissioni, non sempre ortodosse, di colleghi, superiori e quant'altro.

A ben pensarci De Magistris - Mastella a parte- è in rotta di collisione con il suo Procuratore Capo, con il Gip, con la Procura Generale e, anche se non lo dice, tutto sommato rimprovera - a giusta ragione - al Csm di non avere agito per tempo almeno negli ultimi tre anni.

Ecco che, allora, qualcuno che nei decenni ha difeso a spada tratta ed in modo islamico l'operato della magistratura, in blocco ed in genere, sfuggendo alla tentazione di qualunque vaglio critico, rinunciando a cernere i magistrati seri e bravi da quelli che "ciurlavano nel manico" perchè "la magistratura non si tocca a prescindere" ha contribuito a generare un mostro.

Quel mostro che oggi mangia un pò di sè

sabato 20 ottobre 2007

"Un bel tacer non fu mai scritto"


L'inchiesta di De Magistris è stata avocata dalla Procura Generale.

Chi ne mastica un pò di queste cose sa che è la conclusione più ovvia di una storiaccia nata male e finita peggio, nella quale tutti i protagonisti, nessuno escluso, hanno straparlato fin dall'inizio e nella quale la fuga di notizie è stata la regola.

Serve serenità e serietà nell'amministrare la Giustizia.

Reeuisiti che l'ambientaccio che si era creato a Catanzaro aveva smarrito da tempo.

Che, poi, fosse esattamente l'obiettivo che qualcuno voleva perseguire è un'altra, amara, storia

venerdì 12 ottobre 2007

Italia sigh, Italia brot, se famo du spaghi...

Riceviamo copia di una lettera inviata a Gazzetta dello Sport.
La pubblichiamo senza alcun commento, francamente superfluo

Leggo oggi su La Gazzetta dello Sport (11/10/07) di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Napoli che, accogliendo le richieste del pm, ha permesso alla Digos di arrestare 5 ultrà del Napoli; accuse "pesantine" direi: associazione per delinquere all'estorsione, violazione della legge sulle armi, incendio e danneggiamento. Voglio proprio vedere se c'è qualcuno che, tra quelli che gozzovigliano allegramente in tv e vivacchiano parlando della solita piccola minoranza (è ovvio che non frequentano gli stadi.....è ovvio!), voglia o "possa" prendere nota di un piccolo particolare: a parte un ventenne (che probabilmente stava facendo uno stage....sigh!) gli altri 4 gentiluomini hanno rispettivamente 42.42,45 e 61 anni!!!Questo non vuole essere un j'accuse su Napoli (anche se, andare al San Paolo da tifoso avversario, non genoano, è quanto meno "problematico" ma questa è un'altra storia....), ma solo una piccola riflessione di un innamorato di questo sport/fede/passione, che ribalto al quotidiano sportivo più letto in Italia.Questa gente ha proprio paura del Daspo ............ ed intanto, nell'indifferenza generale, gli stadi si svuotano sempre più.... ..........però ho avuto modo di apprezzare personalmente la tolleranza zero che si sta applicando, infatti mi hanno sequestrato l'accendino ai filtri di Italia-Francia dello scorso settembre al Meazza (lo hanno fatto per la mia salute direte..), peccato che stavo entrando allo stadio con il biglietto nominale intestato ad una donna!.........è chiaro che sapevano che era intestato a mia moglie Fabiana..... Viva l'Italia! Cordiali saluti Enzo Repaci - Reggio Calabria

giovedì 4 ottobre 2007

L'Italia degli inguardabili


Ma che strano Paese è questo?In una delle prime 15 città d'Italia per grandezza, Messina, accade che il Sindaco eletto due anni fa - dopo un'interminabile periodo di commissariato mentre la città affogava - è stato dichiarato decaduto dall'organo di giustizia amministrativa siciliana.Gravi inadempienze? Illegalità? Nemmeno per sogno! Accade che una lista (non certo maggiore) sia stata (dopo) dichiarata illegittimamente fruitrice del simbolo partitico con il quale (tra l'altro) si presentò anche alle elezioni del 2005 a Messina.


Intanto, in questo sgangherato Paese, il Ministro dei Trasporti - tra una litigata e l'altra con quello delle Infrastrutture - esulta perchè sono arrivati i soldi per predisporre un piano serio relativamente ai lavori della A3 ed alle conseguenze sul traffico; peccato che, intanto, mentre "a Roma discutono sul da farsi Sagunto viene espugnata" (Tito Livio) e così l'Anas, fregandosene altamente di appelli e richieste di ulteriori rinvii ha aperto i cantieri. Da ultimo il Governatore Loiero, non propriamentel'ultimo arrivato, ed un altro che sta dalla stessa parte della coalizione (!!!), fa sapere che "non se ne parla nemmeno di traghettare da Gioia Tauro.


Popolo del centrosinistra, gioite!Sta per nascere il Partito Democratico, finalmente un grande partito riformista che garantisca unità ai valori del centrosinistra.Per il momento, però, l'unità che si nota ad occhio nudo è quella che lega Gasparri a Salvi che chiedono (in buona compagnia) lo scioglimento del Consiglio regionale della Calabria."E s'è incazzatooo!" - recitava Benigni in un leggendario Johnny Stecchino-. Stavolta s'è incazzato il Presidente. Anzi i Presidenti, Bova e Loiero ed hanno ringhiato contro Sinistra democratica che, vivaddio, sarà un pò distante dal nuovo Pd, ma sempre sinistra è...Niente da fare, è rottura, tra mille e mille distinguo, precisazioni, individuazioni di sfumature del "io sto con voi, però..." "stiamo assieme, ma io sono un'altra cosa"...e via dicendo.Ed in questo clima accade che un assessore regionale del Pdci, Michelangelo Tripodi, rimandi al mittente gli strali di Pignataro (stavolta non sono possibili distinguo perchè trattasi del medesimo partito) informandolo che i delinquenti è più facile ricercarli nel Parlamento piuttosto che a palazzo Camnpanella.Non proprio "politically correct", ed ecco che lo stesso Pignataro (componente della direzione nazionale del partito) ribatte che Tripodi si è lasciato andare..."sò ragaazziii", insomma.


Intanto a Vigevano c'è un mostro che si chiama Stasi, ha ucciso la fidanzata. Anzi no. Ma come? E' lui o no? E chi lo sa? Intanto viene arrestato, scarcerato, sbattuto in prima pagina ed analizzato anche da psicoterapeuti da piccolo schermo. Nel tempo si vedrà, in fondo chissenefrega se è colpevole o no, basta che garantisca a tutti un giro di giostra sotto i riflettori.


Vicenda De Magistris. ne vogliamo parlare?Come la giri la giri viene fuori puzza.Mastella che propone una cosa già richiesta dagli ispettori ( e viene divorato dalla piazza).Mastella che, però, è tra gli intercettati, insieme a questo mondo e quall'altro - visto che pare che in Procura a Catanzaro giro lo strano virus del vizietto delle intercettazioni non autorizzate.De Magistris, che, però, sta tirando fuori un pò di magagne che potrebbero coinvolgere un pò di intoccabili.Già, gli intoccabili, o meglio gli inguardabili!Che Paese!

martedì 25 settembre 2007

Il cielo in una bimba


Non sarà mai più un giorno come un altro, per me, il 25 settembre.

Un pezzo di cielo si è colorato tutto per noi.

L'infinito e la forza, incontenibile, grandiosa, dell'uomo sono apparse a me in tutta la loro grandezza, per farti sentire al tempo stesso onnipotente ed insignificante.

Lo auguro a tutti.
Se riuscissimo tutti a conservarlo bene nel cuore prima ancora che nella mente il mondo sarebbe molto, molto migliore.
Buona fortuna, Gaia.

martedì 18 settembre 2007

Partiamo da tre punti fermi


Il V-day, Beppe Grillo, le firme.

Tutto troppo urlato, troppo sopra le righe.

Ma la cosa non può essere trattata con superficialità ed alcuni flash mi rimbalzano in mente come retrogusto complessivo della vicenda.

E forse è bene tenerli a mente:

1)La gente è stufa di questa politica

2)Non esiste Stato democratico senza partiti

3)Se questi partiti sono malati, allora Beppe Grillo e la sua gente provano a farseli da soli


Ma...mi pare di averla già sentita questa, in un passato recente...o sbaglio???

mercoledì 12 settembre 2007

Uno Stato molto discreto...


Oggi ho fatto un tour nella provincia di Reggio: quasi dieci ore costantemente in auto. A3, poi statale verso Bagnara, poi ancora A3, poi Jonio-Tirreno, statale 106, Siderno, Locri, Bovalino, Natile, Platì, San Luca, Bianco, Africo, Brancaleone e poi verso Reggio.

Mi aspettavo, andando verso zone "calde" di dovere fare i conti con numerosi posti di blocco delle Forze dell'Ordine.

Bene, in tutto, in 300 chilometri percorsi, come detto, in quasi dieci ore, sapete cosa ho incontrato? 4 auto, due della Polizia (una a passeggio ed una ferma), una dei Carabinieri (posto di blocco) ed una della Guardia di Finanza (a passeggio).

Tutte nella zona intorno a San Luca, non in paese, ma dall'incrocio con la statale verso su, fino ad un pò prima di arrivare in Paese, in assetto molto "free"...

Niente da Reggio fino Rosarno, niente sulla Jonio-Tirreno, niente da Marina di Gioiosa a Bovalino, niente sulla strada per Natile e Platì, niente ad Africo, niente da Bovalino a Reggio.

Questo è lo Stato che controlla il territorio più a rischio del Paese...

giovedì 6 settembre 2007

Tutti intorno al capezzale di un malato molto grave, anzi già qualcuno ha detto che il malato è quasi morto...(E.Bennato)


Volete sapere esattamente cosa significa che lo Stato è completamente assente? Vi copio due articoli pubblicati da strill.it in questi giorni.

Se servono commenti lasciatele, ma ne dubito...


La caserma di San Luca si farà.Dopo una strenua lotta lo Stato ha sconfitto sé stesso.Ha fischiettato nel bosco a lungo, come il bimbo che cerca di farsi coraggio mentre se la sta facendo sotto, ma alla fine è arrivata la firma della convenzione che porterà poco più di 2 milioni per finanziare la caserma.Oddio, in verità la caserma di San Luca era già stata appaltata ed i lavori erano già iniziati nell’ormai lontano 1996. La ditta aggiudicataria, però, dalla sera alla mattina aveva abbandonato tutto o, per utilizzare una terminologia più aderente sul piano geografico, si era data alla latitanza.Nessuno si è chiesto il perché e qui le cose sono due. O nessuno se lo è chiesto, diciamo così per distrazione, o, più probabilmente, perché tutti sapevano la risposta.Ed il motivo dell’abbandono non sta nel clima di San Luca, ma in qualcos’altro che, tuttavia, ha sempre a che fare con l’ambiente…




Da un nostro concittadino, Giuseppe, riceviamo e pubblichiamo.
Per ovvi motivi abbiamo omesso il nome dell'azienda interessata, ma da parte nostra la denuncia conserva intatta la sua dirompente valenza.
Perchè in un Paese civile il rispetto dei più elementari diritti relativi all'attività lavorativa è la base, il fondamento della società.
E, di converso, in un Paese che civile lo è solo a chiacchiere, il disconoscimento degli stessi è solo l'assist migliore per il proliferare della criminalità


Mi chiamo Giuseppe, lavoro da quasi sei anni. Vi vorrei raccontare la mia storia.Lavoravo presso un'azienda privata che si occupa di sicurezza pubblica da quasi sei anni. Ho iniziato con tanta passione accettando senza mai ribattere tutto quello che l’azienda mi chiedeva. Per i primi quattro anni ho pagato di tasca propria le spese inerenti al rilascio del decreto e del porto d’armi, ho lavorato più dell’orario stabilito dal ccnl e non sono mai stato retribuito per il lavoro straordinario svolto. Ho lavorato in condizioni disagiate senza impermeabile d’inverno e senza un piccolo posto all’ombra d’estate, ho usato mezzi fatiscenti e pericolosi senza mai un contatto con la centrale operativa in quanto tale centrale non è mai esistita, ho svolto quasi sempre servizio di trasporto valori con dei giubbotti antiproiettile che risalivano a circa 17 anni fa e non a norma, minacciato ho svolto per ben due volte sevizio di controllo con la mia autovettura, non ho mai preso ferie nel periodo estivo e quelle prese mi sono state date quando ha voluto l’istituto, sono stato sempre impiegato a svolgere lavoro notturno con tutti i rischi che ci sono e non mi è mai stato consentito di girare in tutti i servizi della società,ho svolto sevizi da 12 ore e me ne hanno retribuite 6, ho svolto servizi di viabilità sotto al sole e allo smog per tantissime ore,ho percepito gli stipendi alle date decise dalla società e la quattordicesima mensilità da prendere a luglio l’ho sempre presa a rate e anche dopo il mese di settembre. Bene, queste sono tutte cose che ho fatto anche se non dovevo per preservare il mio posto di lavoro. Però arrivato ad un certo punto della mia vita ho visto quello che stavo diventando e cioè una persona sola ed infelice, sola per via del lavoro notturno ed infelice perché per via delle cose che ho dovuto sopportare il mio carattere è andato sempre più verso il chiudersi e tutti gli amici e gli amori cosi facendo si sono allontanati da me.Arrivati all’ottobre 2006 non sopportando più certi abusi che l’azienda perpetrava verso di noi, io ed altri 3 colleghi ci siamo decisi ad iscriverci ad un sindacato per richiedere all’azienda di sistemare quello che non andava . Da lì è iniziato il mio calvario, mi sono fatto portavoce del pensiero dei miei colleghi e in modo formale abbiamo detto all’azienda ciò che non andava. Sono susseguite denunce all’Ispettorato del Lavoro,alla Questura,alla Prefettura e alla Guardia di Finanza poiché l’azienda continuava a mancare nei nostri confronti.Dopo tante battaglie e mentre io ero in malattia il 16/04/2007 mi arriva a casa la raccomandata con il preavviso di licenziamento motivato da eventuali dissesti finanziari. Rimandato tale licenziamento in quanto ero in malattia, giorno 06/06/2007 alle ore 21:50 mentre mi apprestavo a montare di servizio dopo essermi ristabilito il capo settore mi voleva consegnare una lettera che decretava il mio licenziamento in tronco senza il dovuto preavviso datato 07/06/2007 giorno in cui io avrei dovuto svolgere 6 delle mie otto ore.Adesso mi chiedo come può un’azienda risanare dei dissesti finanziari con 900 euro al mese? Stipendio da me percepito.Le Istituzioni che fine hanno fatto?L’Ispettorato del Lavoro dopo tutte queste mie denunce cosa ha sanzionato?La Questura e la Prefettura come mai non si sono mosse dopo le denunce del mio sindacato?Come mai in questa città chi ha voglia di lavorare non lo può fare?Si parla sempre di legalità ma come mai la legge non ha fatto niente dopo tutto ciò?Se il chiedere i miei diritti vuol dire perdere il posto di lavoro vorrà dire che la prossima volta mi starò zitto!!Come si può chiedere aiuto agli organi competenti e non ricevere niente per far valere i propri diritti?Io la risposta ce l’ho………..il pesce piccolo viene mangiato sempre dal più grande.Forse non ho le amicizie giuste per far valere i miei diritti o forse chi dovrebbe far rispettare certe regole si è venduto.Purtroppo qui vige la legge del più forte e non importa se poi a pagare sarà un povero lavoratore come me che ha sempre abbassato la testa a tutto. tanto i miei sogni e le mie bollette rimarranno solo mie. Con grande rammarico vi saluto nella speranza che queste cose non possano più accadere

giovedì 30 agosto 2007

Diritti, doveri e responsabilità


L'avere abbattuto, dopo 35 anni, la vergogna della città di Reggio Calabria, il "ghetto" Rom del "208" è certamente un atto meritorio e storico per chi lo ha posto in essere. In qualche modo si riconquista un pezzo di territorio ceduto nei fatti, giorno dopo giorno, per decenni.

E adesso? Abbattuto il "208", restituito - speriamo in fretta - ad una fruizione degna per la comunità, il problema dell'integrazione dei Rom ancora tutto è tranne che abbattuto.

Ma qui bisogna avere il coraggio di fare delle scelte.

Tutti.

Amministrazione comunale in testa, ma anche Forze dell'Ordine, stampa e Città in senso lato.

Troppe volte, in passato si è pensato che fosse più comodo per tutti cedere una porzione di sovranità piuttosto che occuparsi di una seria azione di contrasto e repressione che sarebbe stata tanto difficile quanto utile alla causa dell'integrazione per quella parte di Rom che, invece, vive al di qua dei confini della legalità.

E' tempo di scelte.

Il segnale del "208" è fortissimo, ma non basta. Comportamenti illegali non possono essere più tollerati, da nessuna parte, in nessuna porzione del territorio.

Viceversa, la parte sana dei Rom ha ragione a reclamare l'attuazione di tutti i diritti che il sistema attribuisce loro.

Ma per essere credibili fino in fondo devono essere per primi loro a prendere le distanze da ogni comportamento illecito. E lo devono fare in maniera netta ed inequivoca.

Perchè, ormai, è tempo di responsabilità.

Per tutti.

martedì 21 agosto 2007

Siamo noi, siamo noi, i campioni dell' Europa siamo noi!


Se si parla di criminalità, ormai non ce n'è per nessuno.

Ragazzi, è ufficiale: la 'ndrangheta ha soppiantato tutti gli altri concorrenti su scala europea. Questo è il dato, questa è la notizia.

O no?

No, il fatto è - ahinoi - tristemente vero. Forti dubbi nutro sul dato che sia una notizia, una novità. Personalmente - a causa di un perverso intreccio di dinamiche di studio e lavoro che vi risparmio - sono da vent'anni circa uno studioso del fenomeno socio-criminale calabrese e siciliano, dunque conosco perfettamente lo spessore criminale della 'ndrangheta, ma anche chi ha scelto altri interessi lo ha imparato da tempo, ormai, dopo le svariate interviste di magistrati, collaboratori di giustizia, inquirenti vari.

Eppure ancora - in Italia e non solo - ci si sorprende della potenza della 'ndrangheta.

Eppure già sul finire degli anni '60 le 'ndrine avevano messo mani e piedi sulla Salerno-Reggio, nel 1970 rappresentavano il braccio armato di Borghese per il golpe, nel 1973 si permisero il lusso di sequestrare nientemeno che Paul Getty III, la presenza di un uomo dell'ndrine sul teatro della strage di via Fani, nel 1978, è cosa pressocchè certa.

E poi, ancora, il dominio assoluto del mercato della droga mondiale, il controllo degli appalti pubblici, gli investimenti immobiliari in tutta l'Italia settentrionale e gran parte dell'Europa nord-orientale, tutte cose note e stranote, sapute e risapute. Eppure c'è ancora qualche politico che cade dalle nuvole.

Distratto.

lunedì 13 agosto 2007

Chi delegittima chi?


Prima di "mani pulite", spartiacque imprescindibile per mille cose nel nostro Paese, alcune buone, altre cattive (la maggior parte lontane dalle luci dei riflettori) a qualunque magistrato di questo Paese fosse stato chiesto un parere su casi dei quali si occupava avrebbe risposto che i giudici "parlano soltanto attraverso gli atti che firmano".

"Mani pulite" e la sua mitizzazione mediatica hanno cambiato tutto.

Prima ad un magistrato non sarebbe importato nulla del consenso o del dissenso che il suo operato ingenerava tra la gente. Prima, la gente i magistrati non li conosceva nemmeno in faccia.

I volti di Sossi, Terranova, Scaglione, Coco sono diventati tristemente famosi soltanto dopo i loro assassinii.

"Mani pulite" ha insegnato che in troppi casi - attenzione alle generalizzazioni perchè sono numerosi i giovani magistrati che continuano ad applicare l'antico principio delle riservatezza dei modi e morigeratezza dei costumi, un esempio su tutti, il pm Woodcock- la caccia al microfono è spasmodica e così si aprono, in maniera incredibile, contenziosi sui giornali piuttosto che a "porta a porta" sull'operato relativo a questa o quella indagine, a questo o quel fascicolo.

Questo è il primo passo per la delegittimazione - termine spesso sbandierato in modo goffo e falsamente meschino- dei magistrati stessi.

Eh si, perchè soltanto i magistrati possono delegittimare i magistrati.

E chiacchierando, parlando - si badi bene dei singoli casi di indagine, non certo in generale- non fanno altro che scendere dal piedistallo dove istituzionalmente devono stare e tuffarsi nell'arena.

L'arena del dibattito, dell'intervista, delle risposte, dei comunicati stampa, dalla quale - per carità- possono anche venir fuori vincenti, ma nella migliore delle ipotesi risulteranno inzaccherati di fango.

E così il pm di Genova che non ha ritenuto di proporre l'arresto per l'omicida della signorina Multari, invece di trincerarsi dietro un dignitosissimo no comment, si richiama prima - genericamente- ad un fantomatico obbligo di legge (inesistente sul piano della esclusività discrezionale della sua valutazione) scatenando un pandemonio politico su un terreno, quello dell'inadeguatezza normativa, comunque realmente accidentato, e poi entra ancor più nel merito sottolineando che gli indizi forniti dalla Polizia non erano sufficienti per giustificare la richiesta di misura cautelare.

Risultato: il capo della Mobile genovese risponde per le rime, in modo durissimo, affermando di avere scritto a chiare lettere che trattavasi di soggetto pericoloso, da arrestare, gravemente indiziato dell'altro omicidio, etc. etc.

Insomma, un Pm ed un alto funzionario di Polizia di questa Repubblica danno vita a mezzo stampa ad una gazzarra indegna, sulla quale, ovviamente - ormai in modo incontrollabile- si avvitano i pareri più vari di politici, avvocati, associazione magistrati, opinionisti dell'ultim'ora e saltimbanchi assortiti.

Ma non sarà che ai magistrati - sissignore, proprio a loro- troppo spesso manca l'alta considerazione del ruolo istituzionale che sono chiamati a svolgere, talvolta a prezzo di grossi sacrifici?
Cioè, se io sono consapevole della mia alta funzione e dell'assoluta intangibilità delle mie scelte, secondo voi, scendo a risse verbali con giornalisti, parlamentari o funzionari di Polizia?

E di questi casi ce ne sono ogni giorno decine grazie a Dio relativi a conseguenze meno gravi, chi delegittima chi??

venerdì 10 agosto 2007

L'antimafia, i professionisti e gli assenti


Sui movimenti antimafia si possono avere mille idee.

Premetto che il famoso articolo di Leonardo Sciascia del 10 gennaio 1987 sui "professionisti dell'antimafia" che fece gridare allo scandalo lo condivido in massima parte e su questo sono disposto a confrontarmi a condizione che lo si analizzi con serenità, senza pregiudizi e con l'onestà intellettuale necessaria per comprendere a chi Sciascia si riferisse.

Ritengo - quindi- che gli unici professionisti dell'antimafia, legittimati, per professione ad essere, appunto, "anti-mafia" siano i giudici e gli inquirenti che lo fanno per mestiere.

Ritengo, altresì, che tutti gli altri- e sono tanti- che hanno fatto dell'antimafia un mestiere, in un Paese civile non siano accettabili.

Diversa è la situazione di chi, ad esempio, per motivi direttamente dipendenti dalla propria attività, è chiamato ad occuparsi del fenomeno per raccontarlo (giornalisti, storici) o per spiegarlo (sociologi).
Ancora diverso, molto diverso, è l'impegno di coloro i quali, per tensione etico-morale, si dedicano, spesso anima e corpo, a combattere i disvalori di cui le mafie sono portatrici o, meglio, quei disvalori già esistenti nell'humus socio-culturale dei territori dove il cancro attecchisce. Ecco, questa gente, spesso ragazzi, ma non solo, queste persone che non esitano a fare tutta l'Italia per stare assieme, che spendono le loro giornate per ciò che ormai è molto di più che una passione, vanno apprezzate.

Personalmente sono da sempre molto disincantato e non ho mai creduto che le manifestazioni di piazza risolvano qualcosa.

Ma in questo caso è diverso. E' diverso semplicemente perchè le mafie da sempre si nutrono del silenzio, di quella paura sottile che si abbraccia col disinteresse generale.

Ecco che, allora, in questo caso, la prospettiva si rovescia. Essere in piazza, esserci in tanti vuol dire che la vittima ancora non è morta, reagisce.

"Legalitalia", in questi giorni a Reggio Calabria per volontà di "Ammazzateci tutti", ha impresso, in qualche modo una svolta.

Ricordiamoci bene questa data: 9 agosto 2007.
Se qualcosa cambierà nel modo di concepire il rapporto tra 'ndrangheta e territorio;
se - e purtroppo sottolineo se- nel tempo tornerà ad essere ben chiaro nelle teste di tutti che la criminalità depreda il territorio, che è vittima senza "se" e senza "ma";
se sarà chiaro che, pur tra mille e mille modi di concepire ogni cosa, alla fine della fiera il mondo si divide in due uniche categorie, le persone per bene e quelle che non lo sono;
se sarà un dato assodato che le prime non possono avere nulla a che fare con le seconde, mai, mentre tra le prime un punto di contatto si dovrà trovare sempre.

Se, dicevo, se, se...se avverrà tutto questo, l'aver portato in piazza Duomo, dove la storia di Reggio più volte ha girato su sè stessa, gente comune, ragazzi, magistrati, scrittori, giornalisti, preti, vittime, il Sindaco di Reggio, sarà stata la scintilla (anzi l'esplosione).

Nessuno ha voluto mancare, chi è stato impossibilitato a presenziare (come Piero Grasso) ha delegato colleghi eccellenti (il dottore Macrì); lo stesso Prefetto di Reggio Musolino, neo-insediato, ha sottolineato la valenza ed il significato storico della manifestazione.

Ma siccome mi avanza un pizzico di veleno (che volete farci, mentre la vecchiaia incalza il carattere vero viene fuori...) ed i latini mi hanno insegnato che va messo nella coda, mi chiedo: come bisogna leggere l'assenza e, conseguentemente, il silenzio assordante della Regione Calabria alla prima giornata???
In effetti alla seconda giornata c'era Doris Lo Moro, ed ha fatto anche un figurone. Resta da capire, visto che si trattava della serata meno "istituzionale" e dedicata esclusivamente alle donne se ha partecipato in qualità di magistrato, di donna o di assessore regionale...

mercoledì 8 agosto 2007

Le bandiere e la qualità della vita

Stavolta i pensieri in libertà sono leggeri, come la domanda che mi pongo: parliamo di calcio, a mò di esempio di Reggina, ma potrebbe valere per chiunque, per qualunque squadra.
Mi chiedo - non essendone stato affatto esente in gioventù- cosa spinga i tifosi, gente normale (o no?) a non poter più fare a meno di un calciatore specifico, e la cosa va ben oltre le caratteristiche tecniche dello stesso.

Se - cioè- sul piano sociologico è stato spiegata in modo dettagliato e soddisfacente la genesi del rapporto con la propria squadra del cuore sotto il profilo del senso di appartenenza, del legame col territorio e quant'altro, non riesco ancora a spiegarmi in che modo faccia stare meglio (perchè alla fine di questo si tratta) i tifosi e li rassicuri il fatto che - ripeto, al di là della valenza tecnica- ci sia un giocatore piuttosto che un altro.

Insomma, la famosa "bandiera" in che modo migliora la nostra vita di tifosi?
Come dite? Stasera sono la brutta copia di Marzullo? Può darsi...

sabato 4 agosto 2007

"Un uomo fa quello che è suo dovere fare...



...quali che siano le conseguenze personali, gli ostacoli, i pericoli, le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana. " (John Fitzgerald Kennedy)



Ve lo avevo accennato; il senso del dovere da perseguire a qualunque costo, al punto di assurgere ad atto eroico ma non compreso dai più, vissuto dai più come un'imperdonabile ingenuità fa il paio con la rimozione della memoria storica di questo Paese.
Ed allora, un pò per gioco, un pò per vedere di nascosto l'effetto che fa, facciamo una verifica, i cui risultati - ovviamente- lascio alla vostra onestà intellettuale.
Ho scelto un elenco di "vittime del dovere" - che brutta espressione- e mi sono fermato, per comodità, per circoscrivere un cerchio enorme e forse solo per cominciare, alle vittime della mafia siciliana da fine anni '70 in poi.
Vediamo quanti di questi nomi, quante di queste scene agghiaccianti, quanti di questi morti per garantire a tutti noi un pizzico di libertà in più sono ancora nelle nostre menti. Oh, mi raccomando, fatemi sapere i risultati...

9 maggio 1978, ferrovia Palermo-Trapani. Viene ritrovato il corpo dilaniato di Peppino Impastato. Da una radio privata dileggiava il boss Badalamenti

26 gennaio 1979, Palermo. Viene ucciso il giornalista Mario Francese

9 marzo 1979, Palermo. Viene assassinato il segretario provinciale della DC, Michele Reina

20 marzo 1979, Roma. Cade il giornalista di OP, Mino Pecorelli

12 luglio 1979, Milano. Il liquidatore del Banco Ambrosiano di Michele Sindona, Giorgio Ambrosoli, viene ucciso da un killer appositamente inviato dalla mafia americana, William Aricò

21 luglio 1979, Palermo. Al bar sotto casa viene ucciso a colpi di pistola Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile

25 settembre 1979, Palermo. Sotto casa viene massacrato il Giudice Cesare Terranova, unitamente al suo "angelo custode", il maresciallo Lenin Mancuso

6 gennaio 1980, Palermo. Il Presidente della Regione Sicilia, Pier Santi Mattarella, appena entrato in auto con la moglie per andare a Messa, viene ucciso a colpi di pistola esplosi a distanza ravvicinatissima dal suo finestrino

4 maggio 1980, Monreale. Il Capitano dei Carabinieri, Emanuele Basile, è con la moglie e la figlioletta in braccio in mezzo alla folla, in occasione della Festa del Crocefisso. Tra la gente sbucano in tre che lo freddano da pochi centimetri

6 agosto 1980, Palermo. Il procuratore capo di Palermo, Gaetano Costa, in pieno centro, senza scorta, viene ucciso da un killer che lo spara alle spalle e poi infierisce su di lui a terra

30 aprile 1982, Palermo. Cadono il segretario regionale del PCI, Pio La Torre, ed il suo autista Rosario Di Salvo

3 settembre 1982, Palermo. In via Carini vengono tempestati di colpi di kalashnikov il Prefetto di Palermo, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie, Emanuela Setti Carraro e l'agente Domenico Russo

14 novembre 1982, Palermo. Bastano cinque colpi di pistola calibro 38 per mandare al Creatore uno dei più giovani e brillanti investigatori della Squadra Mobile di Palermo, Calogero Zucchetto

13 giugno 1983, Palermo.In cinque abbattono il capitano dei Carabinieri Mario D'Aleo ed i Carabinieri Giuseppe Bommarito e Pietro Morici. L'ufficiale stava proseguendo il lavoro del collega Basile

26 gennaio 1983, Trapani. Mitraglietta e pistola per ammazzare il giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto

29 luglio 1983, Palermo. E' il giorno della strage di via Pipitone: esplode un'autobomba per il giudice capo dell'Ufficio Istruzione, Rocco Chinnici. Il massacro non risparmia i Carabinieri Mario Trapassi ed Edoardo Bartolotta ed il portiere dello stabile dove abita il magistrato, Stefano Lisacchi


23 dicembre 1984, San Benedetto Val di Sambro, BO. La mafia, per creare attenzioni "diverse" nel Paese, colloca una bomba sul rapido "904". Muoiono: Giovanbattista Altobelli, Anna Maria Brandi, Angela Calvanese, Anna De Simone, Giovanni De Simone, Nicola De Simone, Susanna Cavalli, Lucia Cerrato, Pier Francesco Leoni, Luisella Matarazzo, Carmine Moccia, Valeria Moratello, Maria Luigia Morini, Federica Tagliatatela, Abramo Vastarella,Gioacchino Taglialatela, Giovanni Calabrò


23 febbraio 1985, Palermo. Ucciso l'ingegner Roberto Parisi, titolare della società che ha in appalto l'illuminazione pubblica ed il suo autista Giuseppe Mangano


28 febbraio 1985, Palermo. Viene freddato l'industriale Piero Patti; si era rifiutato di pagare mezzo miliardo

2 aprile 1985, Trapani. Abominevole delitto a Pizzolungo. Esplode un'auto carica di tritolo. Il bersaglio è sostituto procuratore Carlo Palermo, che scampa miracolosamente all'attentato. Muoino la giovane Barbara Rizzo ed i suoi gemellini, Giuseppe e Salvatore Asta, di sei anni, che casualmente transitano

28 luglio 1985, Porticello. Alle porte di Palermo, al termine di una giornata di relax con la fidanzata e gli amici, ancora in costume da bagno, viene massacrato il funzionario della Squadra Mobile, Beppe Montana

6 agosto 1985, Palermo. Un collega ed amico di Montana, Ninni Cassarà, dirigente della Squadra Mobile di Palermo, viene ucciso sotto gli occhi della moglie affacciata al balcone di casa. Con lui muore anche Roberto Antiochia, poliziotto appositamente rientrato dalle ferie per coprire le spalle al commissario in un momento incandescente dopo l'omicidio Montana. Dono almeno 12 i killers!

12 dicembre 1985, Villafranca Tirrena. Spietata esecuzione di Graziella Campagna, 17 anni, lavorante in una lavanderia. Qualcuno teme che la ragazza possa avere letto un'agendina "scomoda" dimenticata in un capo portato a lavare

7 ottobre 1986, Palermo.A soli undici anni viene ucciso con un colpo di pistola in faccia Claudio Domino, involontario testimone oculare "scomodo"

12 gennaio 1988, Palermo.Sono due i killers che uccidono l'ex sindaco di Palermo, Giuseppe Insalaco

14 gennaio 1988, Palermo. Cade l'agente Natale Mondo, sopravvissuto all'agguato Cassarà

14 settembre 1988, Trapani. Cade il magistrato Alberto Giacomelli

25 settembre 1988, Strada statale Agrigento-Caltanissetta. Imboscata tragica per il giudice che aveva appena inflitto l'ergastolo a Michele e Salvatore Greco, giudicati colpevoli per la strage Chinnici, Antonino Saetta e per il figlio Stefano

26 settembre 1988, Trapani. Cade un "pensatore" eccellente degli anni '60 e '70. Viene ucciso Mauro Rostagno, che aveva fondato una comunità di recupero per tossicodipendenti a Trapani

21 settembre 1990, Agrigento. Massacrato Rosario Livatino, il "giudice ragazzino"

9 agosto 1991, Campo Calabro, RC. Tocca al giudice Antonio Scopelliti, che avrebbe dovuto sostenere l'accusa nel maxiprocesso in Cassazione, a cadere sotto il fuoco. Le sentenze non accederanno mai all'ipotesi di un omicidio voluto dalle cosche palermitane

29 agosto 1991, Palermo. Tocca a Libero Grassi, che si è ribellato al racket, cadere sotto i colpi

23 maggio 1992, Capaci. Strage di Capaci. Muoiono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Antonio Montinari, Rocco Di Cillo e Vito Schifani

19 luglio 1992, Palermo. Strage di via D'Amelio. Cadono il giudice Paolo Borsellino e cinque uomini di scorta: Emanuela Loi, Walter Cusina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina e Agostino Catalano


Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, alle ore 1.04 ,a Firenze, in un' antica via del centro storico , via dei Georgofili,ai piedi della storica Torre del Pulci, sede dell'Accademia dei Georgofili , deflagra un'autobomba.
Si tratta di un Fiat Fiorino imbottito di 250 chilogrammi di una miscela esplosiva composta da tritolo,T4, pentrite, nitroglicerina. L'esplosione provoca il crollo della Torre e la devastazione del tessuto urbano del
centro storico per un'estensione di ben 12 ettari, con un impatto che è stato definito " bellico". Muiono Caterina Nencioni di 50 giorni, Nadia Nencioni di 9 anni, Angela Fiume di 36 anni, Fabrizio Nencioni di 39anni, Dario Capolicchio di 22 anni. Angela ,custode dell' Accademia dei Georgofili , risiedeva nella Torre con la sua famiglia. Dario , che proveniva da Sarzana e studiava architettura a Firenze, muore trasformato in una torcia umana nella sua abitazione, posta nell' edificio di fronte alla Torre. I feriti sono 48, moltissime famiglie rimangono senza tetto.Viene danneggiata anche la Galleria degli Uffizi, situata a pochi metri dalla zona dell' esplosione e altri edifici di interesse storico- artistico.Si perdono per sempre capolavori e preziosi documenti,ma soprattutto si perdono per sempre cinque vite.

Alle 23.14 del 27 luglio 1993, in via Palestro a Milano, una Fiat Punto salta in aria davanti al Padiglione d'arte contemporanea. Un attentato di stampo mafioso in cui muoiono Moussafir Driss, marocchino, che dormiva su una panchina, tre vigili del fuoco - Stefano Picerno, Carlo La Catena e Sergio Pasotto - e il vigile urbano Alessandro Ferrari, intervenuti perché da quell'auto usciva fumo. Dodici i feriti, sventrato il Padiglione d'arte contemporanea.

15 settembre 1993, Palermo. Un killer ammazza il parroco di Brancaccio, don Pino Puglisi. Tre mesi prima nella valla dei templi il Papa aveva tuonato contro la mafia

14 aprile 1996, Rebibbia. Al processo per la strage di capaci il pentito Di Matteo racconta l'uccisione del figlio, il piccolo Giuseppe Di Matteo, 11 anni, ucciso dalle cosche durante la collaborazione del padre

giovedì 2 agosto 2007

Ma l'impresa eccezionale è essere normale


Da più parti, in queste ore, ho sentito ripetere, a proposito della morte della guardia giurata Luigi Rende, "ma chi glielo ha fatto fare di reagire? Bastava consegnasse il denaro!"

Vero, verissimo. Peccato che Luigi Rende fosse lì con l'unico scopo di difendere quel denaro.

A costo della vita, come accaduto.

Si chiama senso del dovere, così desueto, incompreso, al punto da essere quasi dileggiato da chi non lo pratica, non lo capisce.

Eppure c'è chi lo mette ancora al primo posto, sopra ogni cosa.

Nonostante sia mandato allo sbaraglio, con dotazioni inadeguate, nonostante sarebbe assai più semplice consegnare i soldi, in ossequio all'antico brocardo "si futti a lira e cui 'a pensa...".

Ma per Luigi Rende e- vivaddio- per tanti altri, in ballo non ci sono i soldi, ma un'idea, un principio, un patto - personale e sociale.

Ed in un Paese, in una società, dove tutti quotidianamente straparlano di diritti, i più mistificati, i più meschinamente inventati, senza porsi nemmeno lontanamente il dubbio riguardante i doveri che devono camminare parallelamente proprio per garantire il rispetto dei primi, quanto fatto da Rende è una cosa gigantesca nella sua assoluta normalità.

Perchè, come cantava Dalla "...ma l'impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale"

lunedì 30 luglio 2007

Si può essere un pò incinta???


Mi chiedo sempre più spesso dove viviamo.

Cioè, chiariamo un punto: certezze non ne ho, ma alcune riflessioni mi sbattono negli spigoli del cervello.

Per l'ennesima volta un database di un giornalista - nella fattispecie la collega Chiara Spagnuolo del "Quotidiano"- è stato fatto oggetto di sequestro, due case addirittura perquisite.

Pietra dello scandalo la pubblicazione di una perizia d'indagine relativa al procedimento "Why not", quella, per intenderci, dove sono apparsi anche numeri telefonici di utenze eccellenti.

Ma la cosa che veramente mi fa pensare riguarda il metodo; cioè, mi chiedo, perchè deve essere perseguito il giornalista per violazione del segreto d'ufficio?

Ma - santo Dio- sono completamente rincretinito (cosa da non escludere, si badi bene) oppure nel momento in cui la notizia o l'atto coperti da segreto giungono al giornalista il segreto è già stato violato???

E, di più, è mai possibile che debba essere tenuto al rispetto del segreto colui il quale non ha obblighi nei confronti della Pubblica Amministrazione, ma, invece, ha obblighi precisi nei confronti dell'editore che lo paga e, sapete che vi dico, anche obbighi deontologici rispetto alla professione???

Insomma, se io ho una notizia, un documento, in un Paese normale devo essere obbligato soltanto ad una cosa: verificare la veridicità del contenuto.

Il problema, per lo Stato, invece nasce - o dovrebbe nascere- dalla verifica di chi quel documento ha fatto circolare.

Perchè il segreto è violato non appena anche una sola persona non titolata ne viene a conoscenza. A nulla rileva che poi questa violazione venga portata a conoscenza di un numero indefinito di lettori.

Il segreto o è tutelato o è violato, non esistono vie di mezzo, ma tra un pò in Italia qualcuna si definirà "un poco incinta".

D'altra parte quasi mezzo secolo fa un famoso "notabile" siciliano veniva definito, in un rapporto dell'Arma, "un pò mafioso"

mercoledì 25 luglio 2007

Conoscere per riconoscere


Non c'è nulla da fare, bisogna studiare!

In ogni campo, in ogni settore è necessario studiare.

E quando vi sono di mezzo fenomeni umani diventa imprescindibile studiare (ma bene bene) ed anche comprendere, interpretare, la storia.

L'invito del coordinatore della DDA reggina, Boemi, a rileggere, tutti assieme, gli scenari che nel 1985 portarono alla seconda guerra di mafia reggina ed a quelli che, sei anni più tardi, misero fine all'esistenza terrena del Giudice Scopelliti può apparire scontato, forse banale, ma a qualcuno tra i più attenti suonerà inutile.

Questo accade perchè viviamo in un Paese che, dal dopoguerra in poi, vive su equilibri delicatissimi gestiti da compromessi inaccettabili, da patti indicibili e che, nei decenni, "sunt servanda". Nonostante i tempi, a dispetto dei muri che cadono, dei protagonisti che muoiono.

Viviamo in un Paese che ha operato - ed opera ancora- una continua rimozione della memoria storica, ma ciò non avviene per semplice ignoranza o superficialità.

No, no, attenzione. Questo genera nelle masse ignoranza e superficialità, ma avviene per un calcolo ben preciso di chi gestisce le leve del vapore.

La gente non deve sapere, non deve porsi domande.

La gente va distratta, stordita.

E così, magari, nessuno si chiederà più quali prezzi, ancora oggi, stiamo pagando per avere chiesto - ed ottenuto- nell'immediato dopoguerra alla mafia, agli Usa, al Vaticano di liberarci da quel Satana con la falce ed il martello che tutte le volte in cui ha provato a riproporsi è stato ricacciato indietro con strumenti che definire discutibili somiglia più ad una gigantesca bugia che ad un garbato eufemismo.

Ma il meccanismo, collaudatissimo, è sempre quello e, come dice Marco Travaglio nella prefazione a "L'agenda rossa di Paolo Borsellino", se qualcuno avesse deciso di fare appassionare questo Paese un pò più a questa vicenda ed un pò meno al delitto di Cogne, probabilmente oggi sapremmo qualcosa in meno sul pigiama della Franzoni e qualcosa in più sulla storia della nostra seconda Repubblica.

Bisogna studiare, riflettere, mettere a posto i tasselli di un puzzle, proprio come fanno i Ris in tv. Già, in tv, così mettiamo a posto quelli e non ci concentriamo su altri, più drammaticamente reali.

Perchè qualcosa di nuovo c'è rispetto al passato: chi ne abbia veramente voglia ha tutti gli strumenti - cartacei ed on line- per capire, per far venire fuori mille dubbi e talora mille conclusioni. Per capire, ad esempio, quante e quali vergogne di Stato sotto forma di stragi, di inciuci incredibili tra servizi segreti, politica, massoneria, alta finanza, magistratura, Vaticano, mafia, 'ndrangheta, alti ufficiali dell'Arma si siano consumate in pochi decenni e si consumino ancora.

Secondo voi è un caso che un programma come "La storia siamo noi" di Minoli sia confinato in terza serata o la mattina all'alba?

No, non è un caso e gli esempi sono mille e mille.

Qualcuno tempo fa avanzò un'ipotesi: prevedere normativamente una moratoria, uno scambio tra impunità di alcuni delitti - ad esempio quelli di terrorismo o delle stragi- e verità.

Come dite? Meglio non sapere? Può darsi, ma quando poi, per altre vie, la verità ti cade addosso, sia pure a pezzi, sia pure con le sembianze sfuggenti e subdole del dubbio, è molto, molto peggio...

E magari qualcuno leggendo queste righe starà pensando "ma chi te lo fa fare...???".

Certo, può darsi che sia più appassionante interessarsi alla telenovela dell'affare Roma-Inter per Chivu o chiedersi se Sircana andava a trans o no (ma saranno cazzi - in tutti i sensi- suoi???).
Attenzione, però: perchè, così come le nostre azioni ci seguono, la storia, la nostra storia, ci insegue e prima o poi ci raggiunge. E' meglio per tutti, una buona volta, fermarsi, farsi raggiungere, fare i conti con essa e ripartire, piuttosto che arrivare alla meta stremati e braccati.
Così, per poter conoscere la realtà, anche solo per poter provare a riconoscerla, da lì in poi.

sabato 21 luglio 2007

E ti ricordo ancora...


Potrebbe apparire un volere indulgere alla malinconia oppure a stereotipi triti e ritriti.

Beh, pensatela come volete, ma io sono tra quelli che ritiene che un sacrificio - a maggior ragione quando è l'estremo- ha un senso se almeno il ricordo lo fa vivere.

E con esso vive la persona che lo ha compiuto.

Per grandi linee è il medesimo discorso che valeva per il post su Ambrosoli. Ve lo ricordate?

Due giorni fa abbiamo ricordato commossi la figura di Paolo Borsellino, oggi ricorre il ventottesimo anniversario dall'assassinio di Boris Giuliano.

Già, chissà in quanti, oggi, ricordano che era il capo della Squadra Mobile di Palermo, ma - ampliando il discorso- chissà a quanti dicono qualcosa i cognomi di Basile, Montana, Cassarà, Antiochia, ma anche La Torre, Mattarella, Scaglione, Chinnici, Saetta e mille altri ancora.

I miti, quali - giustamente- sono diventati Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa vivono, grazie a Dio nella memoria dei più e, se Dio vuole, anche nel cuore di qualcuno.

Per troppi altri che hanno dato la vita ma lontano dalla ribalta, come, ad esempio ulteriore, proprio le scorte di Falcone e Borsellino, resta solo il dolore vivo come lama nella carne di chi ne è rimasto orfano di affetti e di sorrisi, di abbracci e di carezze.

E questo non è bello.

Questo non è giusto.

Oggi, il 21 luglio del 1979, in una calda prima mattinata di Palermo, il poliziotto Boris Giuliano veniva ucciso al bar, dove sorseggiava il primo - ed ultimo- caffè della giornata.

Un pensiero è d'obbligo

lunedì 16 luglio 2007

Reggio ha ucciso l'amico più caro


Ogni pezzo di storia che se ne va prende a braccetto un pezzo di noi.

La Viola cancellata dai campionati professionistici dopo 41 anni di storia e 23 di serie A colpisce al cuore tutta la città.

La colpisce al cuore perchè la Viola è stata Reggio, per tanti, tanti anni.

La Viola è stata Reggio per tutti, anche per chi, dopo un quarto di secolo, ancora non ha capito i "passi" o i "tre secondi".

La Viola è stata Reggio quando Reggio nella mappa nazionale del vivere civile non c'era, quando attorno ai suoi destini il cuore della gente si fermava e palpitava al ritmo dei tiri liberi decisivi che morivano sul ferro o dei tiri da tre che sulla sirena ti mandavano in Paradiso.

La Viola è stata Reggio la domenica mattina alle 11 sulle mattonelle dello "Scatolone", nelle 5.000 persone stipate in un "Botteghelle" che ne poteva contenere 3.500 ed anche in un "Pentimele" che ne vedeva 10.000 a fronte di 8.500 posti.

La Viola è stata Reggio quando Reggio non stava a galla.

E la Viola è stata Reggio anche quando Reggio - invece- teneva a galla la Viola, come capitò nel 1998, in occasione del primo fallimento, con i comitati spontanei che "picchettavano" le stanze dei bottoni insieme a chi della Viola ha fatto una ragione di vita. Gente come Santoro e Gebbia, Tolotti ed Avenia.

Ma stavolta Reggio è stata matrigna e, da troppo tempo, ha lasciato sola la sua Viola, quella che così tanto aveva fatto per Reggio in ginocchio.

Non è tempo di distribuire colpe, il morto è ancora caldo, ma oggi l'anima della città, le sue espressioni più facoltose, ma anche la gente semplice, col suo disinteresse, ha ucciso un amico fraterno.

E' solo tempo di amarezza e di ricordi.

Se ne avete voglia, che ciascuno lasci qui il suo.

sabato 14 luglio 2007

Quel che resta di noi


Nel 1970 avevo appena 3 anni, però, ebbi la fortuna di abitare a Reggio in pieno centro, per cui il balcone di casa era, in realtà, una continua platea dalla quale vedere, ora dopo ora, ciò che mi appariva come un gioco: la rivolta.
Sono passati esattamente 37 anni dal giorno in cui ebbe inizio, eppure le sensazioni di quel gioco di allora le ricordo perfettamente e, nonostante, mi apparisse – appunto- un gioco, era un gioco strano, perché la tensione, la preoccupazione la percepivo.
Mi sembrava un gioco, ad esempio, vedere le macchine in fiamme lanciate sotto il mio balcone verso il Corso Garibaldi; non mi appariva più un gioco quando eravamo obbligati a serrare le finestre per il fumo dei lacrimogeni che rischiava di entrare in casa.
Mi sembrava un gioco – quando ad una certa ora la situazione si era tranquillizzata- andare di tanto in tanto con mio padre a curiosare, in automobile, in mezzo alle macerie delle barricate ed agli incalcolabili danni provocati da una giornata di battaglia; non era un gioco, però, quando fui orgoglioso di lui perché, di ritorno dal lavoro, portò a casa un candelotto lacrimogeno che avevano sparato i poliziotti durante una carica nella quale si era imbattuto nel tragitto dall’ufficio a casa.
Il candelotto, naturalmente, è ancora – 37 anni dopo- sul mobile di casa, anzi sulla mensola del salotto, per essere precisi.
Non so cosa sia rimasto di quegli anni, me lo chiedo spesso.
Certo, ricordo come eravamo.
E vedo come siamo.
Facciamo un gioco assieme: chi si ricorda come eravamo?

mercoledì 11 luglio 2007

Niente di personale...


"Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo che saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto. Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa".

E' la parte saliente ed agghiacciante della lettera che Giorgio Ambrosoli, avvocato, scrisse alla moglie quattro anni prima di essere ucciso, a colpi di pistola, 28 anni fa, l'11 luglio del 1979.

Sapeva a cosa andava incontro o, quanto meno, cosa rischiava.

Cosa sia rimasto di quell'omino che, da commissario liquidatore della Banca Privata, quella di Michele Sindona, si era messo in testa di fare saltare il banco, a distanza di quasi 6 lustri, è complicato da scoprire.

Come, invece, sia andato incontro al massacro, è ben chiaro.

A distanza di anni, quando - ormai- i segreti inconfessabili del Paese sono diventati segreti di Pulcinella, nel senso che tutti li conoscono, sempre più nei dettagli, ma nessuno può essere chiamato a renderne conto, viene sempre più la voglia di dar ragione alla vedova Moro quando, parlando dell'omicidio del marito, ad un intervistatore disse "Mi creda, è meglio metterci una pietra sopra e lasciare fare a Dio!"

E Dio (ma non solo) sa bene quale gioco gigantesco si sia messo in moto ed abbia stritolato Giorgio Ambrosoli, avvocato milanese.

In un colpo solo, seguendo - come anni dopo e prima di seguire lo stesso destino di Ambrosoli, sia pure saltando per aria, disse Giovanni Falcone- la via dei soldi, Ambrosoli era sul punto di tirare le fila del sottile ed indistruttibile filo rosso che legava la finanza italiana, alla politica, alla P2, alla mafia, al Vaticano.

Roba da fare strike con una palla sola!

Nemmeno nelle favole a lieto fine un piccolo omino, da solo, riesce a mettere in scacco un sistema intero.

Più volte era stato minacciato, ma lui - imperdonabile errore- era uno di quelli che al lieto fine ci credeva, anche se, come dimostrato dalla lettera alla moglie, più di un brivido lungo la schiena accompagnava le sue giornate.

Qualcuno crede che il sacrificio estremo degli uomini non sia vano se da questo discendono conseguenze positive, per reazione.

Se credete a questa ipotesi non deve far fatica, la vostra mente, a comprendere come - di converso- l'anima di Ambrosoli vaghi senza pace da qualche parte.

Perchè negli anni l'Italia degli intrallazzi e dei misteri, delle trasversalità e delle stragi di Stato, ha continuato ad attorcigliarsi su sè stessa, spostando ogni giorno più in là i paletti della decenza, della vergogna, dell'infamia.

No, egregio avvocato Ambrosoli, il suo estremo sacrificio non è servito proprio a niente.

Mi duole dirlo, ma credo che almeno ad un pò di franchezza la sua anima abbia diritto.

Non è servito, non solo perchè le cose non sono cambiate nemmeno un pò, ma anche perchè il Paese - tranne qualche rara eccezione- di quegli anni ricorda più facilmente il volto di Alessandro Scanziani, oscuro pedatore dell'Inter, che il suo.

Non me ne voglia, avvocato, se sono stato crudo.
Come le disse William J.Aricò mentre l'ammazzava sparandole addosso da pochi metri: "Niente di personale, è il nostro lavoro"

martedì 10 luglio 2007

Cultura e conoscenza


Io non so se il nuovo consulente del Comune di Reggio Calabria, Marcello Veneziani, darà - come auspicato dal Sindaco una svolta in postitivo alla qualità delle proposte dell'Amministrazione comunale. Personalmente ne sono convinto, ma la mia valutazione prognostica è annacquata dalla stima notevole che ho per il personaggio.

Ma la presentazione alla Città di Veneziani, in realtà, rappresenta solo lo spunto per alcune brevi riflessioni. Veneziani ha sottolineato più volte che non se ne può più di mostre per singole fasce, di inziative dedicate dichiaratamente a questa o quella categoria. Ma il fatto è che le città del Sud per troppo tempo sono rimaste isolate, lontanissime non solo dal resto del mondo, ma addirittura dall'Europa o dal Nord Italia. Questo ci ha portato ad esaltare - giustamente- ma anche a "viverci addosso" solo le nostre realtà, le nostre tradizioni culturali, i nostri passaggi storici più importanti.

Non è possibile, però, guardare oltre, volersi spingere, proporre al mondo intero se non si colma prima il gap di conoscenza generalizzato che ci caratterizza rispetto a quanto già da tempo accade lontano dallo Stretto.

Non è detto che sia meglio di ciò che succede alle nostre latitudini, ma è comunque una cosa in più, un'aggiunta, un modo diverso ed ulteriore di vedere le cose.

Un valore aggiunto, insomma.

Se la curiosità, la voglia di conoscere anche le più piccole banalità dei mille e mille modi di vivere al di là della punta del nostro naso, smette di alimentare le nostre anime anche solo per un attimo, come cantava Roberto Carlos, "la festa appena cominciata è già finita".

domenica 8 luglio 2007

Che anni quegli anni...


...di merda!

Sarebbe ora che - finalmente- qualcuno trovasse il coraggio di dirlo: i "mitici" anni '70, idolatrati come si conviene a tutto ciò che ci riporta ad una gioventù che non c'è più, furono anni di merda!

Sono passati esattamente trent'anni dal 1977, probabilmente la boa spartiacque, l'apice di un'Italia che non si ritrovava più in nessun modo.

Trent'anni dall'omicidio di Giorgiana Masi, dalle decine di morti nelle piazze, dalle gambizzazioni.

Ma - paradossalmente- il tempo che passa non assegna la giusta cornice agli eventi, ma quasi li ammanta di quel "mitico" che, francamente, è non solo abusato ma addirittura usurpato.

Era un Paese in ginocchio, per oltre due lustri fu un'Italia che faceva fatica a guardarsi dentro, a capire cosa fosse impazzito nella propria anima.

Era un'Italia che non comprendeva - e non comprese- perchè mai l'unico sistema per provare a proporre le istanze di "svecchiamento" dello Stato dovesse essere, in realtà, il solo che inevitabilmente ne avrebbe rafforzato i sistemi più conservatori.

Furono anni in cui ciascuna entità in gioco riuscì a ritagliarsi spazi che regalarono agli attori l'illusione di guadagnare terreno, senza accorgersi, però, di stare perdendo la battaglia più importante: quella contro il tempo.

Quel tempo che in fretta fece diventare il tutto anacronistico; quel tempo che logorò anche i più convinti assertori della lotta armata.

La notte della Repubblica, come la chiamò stupendamente il maestro Zavoli, era cominciata, in verità, da tempo, ma quel 1977 il buio fu pesto e l'anno successivo -quello del sequestro Moro- fu solo quello dei "botti" più evidenti.

Ma la gente, quella alla quale più di qualcuno dovrebbe spiegare cosa avessero di "mitico" quegli anni, visse per anni nel buio di quella notte. Un buio che metteva a rischio non solo il quotidiano, ma che teneva sotto una fitta cappa anche e soprattutto il futuro.

Che l'Italia - in definitiva- sia stata sotto guerra civile, sottile quanto reale, per oltre 40 anni è un dato di fatto.

Ma che in quegli anni '70 qualcosa sia cambiato è innegabile.

Eppure in mezzo al piombo ed al buio, anzi dietro di questi ci furono anche tanti fermenti spontanei, culturali, soffocati dai modi ed anche dalle strumentalizzazioni di qualcuno.

Sono passati trent'anni da quando l'Italia, quella che alle 6 del pomeriggio si chiudeva dentro casa, quella delle fabbriche sotto picchettaggio e del "colpirne uno per educarne cento", provava a ritagliarsi un mondo parallelo tuffandosi nella "Febbre del sabato sera" di John Travolta.

Sono passati trent'anni da "Stay'n alive" e "More than a woman".

Ecco, se dopo tre decenni devo sforzarmi di individuare un aspetto che possa regalare una qualche nostalgia che poggi la nobiltà del suo sentimento su qualcosa di diverso dalla triste idolatria fine a sè stessa per la propria icona giovanile, se qualcosa - non l'unica, per carità, ma di sicuro quella più identificativa- deve assumere le sembianze di un'immagine, niente incarna il paradosso di quegli anni più di John Travolta e della sua giacca bianca, fatta roteare sopra il capo.

Ma ancora più grave di avere scritto la storia di quegli anni sarebbe averli archiviati, consegnati alla storia, appunto, senza averli metabolizzati, averli solo "spostati" in quanto scomodi senza che siano stati analizzati con lo spirito sereno e serio che si confà ad un Paese che sa esattamente cosa muove chi e, soprattutto, viceversa.

Ma l'Italia, di questo fantomatico Paese, non ha proprio nulla, anche perchè per riconoscere è necessario conoscere. Ed il Bel Paese - è noto- del proprio passato, prossimo e remoto, non sa quasi nulla...

sabato 7 luglio 2007

Com'è misera la vita negli abusi di potere...(Franco Battiato)

Provavo a riflettere tempo fa (da piccolo ho contratto questa sorta di malattia, per cui ci provo spesso, anche se talora con esiti imbarazzanti...) circa il futuro dell'Europa.
Mi spiego meglio: pensavo a che futuro avremo noi, i nostri figli, i figli dell'Europa. Non era il dato politico che mi interassava, quanto, piuttosto, le prospettive in più che potranno essere cavalcate.
Rispetto a quando, negli anni '70, la mia insegnante di lettere della scuola media ci spiegava cos'era (e cosa avrebbe voluto diventare) l'Europa dei 9 (!!!) di acqua sotto i ponti ne è passata tanta.
L'Europa, pur tra mille difficoltà e vagonate di critiche, spesso strumentali, sta nascendo.
Ma resta da capire quale sarà il ruolo che le singole Nazioni, meglio ancora le singole porzioni di territorio di ogni Stato riusciranno a ritagliarsi.
Insomma, ho il terrore - che spesso veste i panni della certezza- che il Sud, la Calabria, per entrare in Europa dovranno per sempre continuare a prendere un aereo.
La storia infinita dei "corridoi" temo che ci penalizzerà nei secoli dei secoli, per miopia di una classe politica vecchia, che non ha compreso su quali nuovi tavoli si stesse muovendo il futuro e, soprattutto, ha fatto fatica a capire che le meschine logiche da bassa macelleria presto non sarebbero state funzionali nemmeno a gestire quella piccola fetta di potere che - nelle logiche di un domani che è già qui- sarebbe stata insignificante.
Logiche di gestione che, però, porteranno i nostri figli molto più lontani dai centri decisionali di quanto, ad esempio, non lo saranno i Rumeni.
Logiche di gestione di una classe politica che si è venduta il futuro, i sogni, per una manciata di fave, al punto da ritrovarsi come i cani dei bucceri: sporchi di sangue e morti di fame...

giovedì 5 luglio 2007

E naufragar m'è dolce in questo mare...


...di consulenze...

Girarci intorno non serve a nulla, anzi ci allontana, giro dopo giro, dal nocciolo del problema: la gestione moderna e dinamica della macchina amministrativa - a maggior ragione di un Ente locale- non può prescindere da un consistente impiego di risorse a carattere fiduciario.

Siano essi i famigerati consulenti o, più semplicemente - appunto- fiduciari poco cambia.

Troppo veloce l'attività e troppo voluminosa la mole di istanze cui quotidianamente un Ente deve rapportarsi per poterne venire a capo, come accadeva decenni addietro, con le sole risorse in organico.

E così, velocemente ed in maniera disordinata come solo l'Italia ed il Sud Italia in particolare sanno fare, è venuta fuori una figura che - che novità, vero?- ha occupato un consistente vuoto normativo. Anzi, per meglio dire, si è infilata attraverso una previsione normativa che ne introduceva la figura, ma che - poi- non la normava, se non attraverso poche, generali e spesso vuote prescrizioni.

Lo spunto fornito dal consiglio comunale di Reggio che ha approvato all'unanimità un primo regolamento che certamente non è esaustivo, ma comunque inizia a sistemare paletti precisi, non è di poco conto.

Bollare le consulenze come "prebendificio" è superficiale, banale, demagocico, qualunquista, ma, soprattutto, non aiuta a focalizzare il problema.

D'altro canto, però, regolamentare il settore è necessità che garantisce non solo trasparenza amministrativa, ma anche esigenza primaria per la crescita del sistema nel suo complesso.

Pensateci: l'utilizzo distorto di istituti non autorizza nessuno a bollare come di per sè non funzionale alle esigenze della collettività l'istituto medesimo.

Se non si sa guidare un'automobile e si va spesso fuori strada sarà il caso di imparare a guidarla, di fissare delle regole, dei limiti di velocità e poi di rispettarli.

Lasciar chiusa l'automobile in garage elimina il rischio di incidenti ma ci fa anche restare indietro...

martedì 3 luglio 2007

E lo Stato che fa...???


...si costerna, s'indigna, s'impegna, poi getta la spugna con gran dignità.

Per uscire immediatamente dall'equivoco che può portare alla più grande ignominia per chi scrive, e cioè l'appropriazione indebita di citazioni, per chi non lo ricordasse chiarisco che la citazione è di quel genio, passato a miglior vita, di Fabrizio De Andrè.

Detto questo, il tempo dei sorrisi è già finito, dal momento che la pallina dei miei pensieri stasera, come ogni volta ha girato a lungo sulla roulette delle tematiche, ma si è fermata sul numero della vergogna e dell'orrore: la violenza sui bambini.

Sono stato alla seconda giornata del convegno organizzato dal gruppo Uen del Parlamento europeo ed ho ascoltato alcune relazioni.

Non tutte interessanti, molte relative ad argomentazioni trite e ritrite, ma una - in particolare- nonostante, anche qui, si trattassero tasti notoriamente dolenti, mi ha inchiodato alla sedia.

Saranno stati i numeri, sarà stata la partecipazione emotiva della relatrice che, in quanto donna, sul tema è stata assai coinvolta e chiara, ma il tema della "protezione dei minori", approfondito dall'europarlamentare Roberta Angelilli, non è passato inosservato.

Sapete quanti sono i minori a rischio pedofilia in Europa?

250.000!!!!

Sapete quanti sono 250.000?

Riempiono in ogni ordine di posti tre stadi di San Siro..

Al di là delle valutazioni tecniche, la sensazione è che il tema, da parte delle Istituzioni venga vissuto quasi con fastidio. Sissignore, io sono convinto che lo Stato non faccia tutto quello che può, quasi che agisca contro le comunità di pedofili (si, comunità, bisogna avere il coraggio di chiamarle col loro nome le cose) col freno a mano tirato.

Eppure, Santa Madre, il tutto avviene in rete.

Ora, esiste qualcosa di più controllabile della rete?

Credo di no, eppure anche il sistema normativo, oltre che repressivo, non pare adeguato.

E' così complicato vietare anche la fruizione delle immagini pedopornografiche?

E' così difficile capire quanto tempo ciascun utente trascorre su un sito di questo genere, così, solo per capire se ci è finito per caso oppure di proposito?

E' così difficile risalire a chi alimenta il mercato?

O forse la società, intesa nel senso più ampio, nelle stanze dei bottoni, ai livelli più alti, ha una paura maledetta di scoperchiare un pentolone dal quale potrebbero venire fuori, trasversalmente, tanti, tanti nomi di insospettabili?

O forse questo non si poteva dire?

lunedì 2 luglio 2007

Fatti gli italiani, a quando l'Italia?

Ma, in definitiva, perchè noi meridionali siamo così istintivamente, visceralmente legati al Paese Italia inteso nell'accezione centralista post-unitaria e, soprattutto, assistenzialistica post-bellica?
E' strano, perchè, ad essere lucidi, non sono pochi coloro i quali auspicano maggiore autonomia addirittura rispetto alle dinamiche regionali; però appena qualcuno propone di accentuare le caratteristiche federali dello Stato ci si irrigidisce in tanti.
Eppure uno Stato federale gioverebbe a tutti.
Certo, quella storica di Miglio - riproposta oggi da Borghezio- del Parlemento del Sud pare più una provocazione che altro, ma è certo che, entro certi limiti, con riserva esclusiva di materie come la sicurezza, la scuola, ma anche buona parte della redistribuzione fiscale, un sano federalismo potrebbe solo fare bene, anche alle zone del Paese più depresse.
Anni fa più di qualcuno si scandalizzò rispetto alle cosiddette "gabbie salariali"; certo, si tratta di un concetto da far digerire con calma e nel tempo, ma concettualmente è degno di essere preso in considerazione, al pari - di converso- di quello relativo ad una perequazione rispetto alle dinamiche di accesso al credito, così profondamente diverse tra Nord e Sud.
Ma un Paese che si rispetti e che, finalmente, voglia definirsi tale, deve avere il coraggio di difendere tutti, ma anche di rispettare tutte le diverse realtà, esigenze, conformazioni socio-economico-culturali.
Solo allora potremo dire di avere fatto l'Italia.
Perchè, probabilmente, il problema è esattamente il contrario di quello prospettato quasi 150 anni fa da Massimo D'Azeglio: fatti gli italiani, è ora di fare l'Italia

domenica 1 luglio 2007

Solo diritti, mai doveri; il filippino di Paolo Rossi

Fateci caso: nella società moderna si sente continuamente parlare di diritti. Ciascuna categoria, ogni singola persona non perde occasione per rifarsi alla conquista più alta delle democrazie: la centralità dei diritti.
Bene, benissimo, ma - come accade sempre- quando i concetti di base non sono bene assimilati e si pretende di pervenire al dato conclusivo direttamente, il fine ultimo, il "sentire collettivo" che ha elevato a diritto una fattispecie ne esce in qualche modo drogato.
Cioè, i diritti esistono fintanto che il modello sociale sta in piedi con equilibrio, e questo delicatissimo meccanismo trova le sue travi portanti nei doveri.
Sissignore, proprio in quelli che - superficialmente- potrebbero apparire l'antitesi dei diritti, ma che, in realtà, ne sono lo scudo invincibile.
L'assessore all'ambiente del Comune di Reggio Calabria, Antonio Caridi, ha pubblicamente accusato i commercianti del viale Messina di non avere alcuna cura dell'area mercatale della quale fruiscono e che, ogni qual volta terminano le attività di mercato, deve essere letteralmente bonificata. Lo spunto è troppo ghiotto per non approfondirlo. Ed allora - come direbbe qualcuno- diciamocelo: per anni Reggio è stata abituata - giustamente- a dare la croce addosso alle Amministrazioni che non riuscivano a garantire servizi minimi.
Oggi - in maniera controvertibile sulle scelte, ma inoppugnabile nel dato- la Città sta crescendo, o almeno sta provando a farlo.
Nei servizi, nelle prospettive, nel respiro.
La sensazione amara, però, è che il tessuto sociale di Reggio stia restando indietro.
Per assurdo che possa apparire, per una volta la politica sta correndo più velocemente delle altre componenti della Città.
E così se, ad esempio, l'imprenditoria fa fatica a comprendere che l'aria sta cambiando, ancora tanta, troppa gente continua a vedere la cosa pubblica come un fastidio, come un vincolo.
Un vincolo che genera un obbligo al rispetto di ciò che è tuo, ma solo in quota parte, per molti insopportabile.
Ed allora i cassonetti - nuovi- sono vuoti, ma - vivaddio- anche chiusi? Ed io dovrei scendere dall'automobile, premere il pedale per aprirli e lasciarvi dentro il sacchetto dell'immondizia?
Ma non se ne parla nemmeno!
Li lascio a terra a fianco ai cassonetti - vuoti- direttamente dal finestrino dell'auto.
Tanto, prima o poi, quelli della Leonia passeranno.
In un famoso sketch di Paolo Rossi, lui - senza alcun riguardo- lascia in disordine l'appartamento che avrebbe poi riordinato il filippino in ossequio al principio del "tanto, qualcuno poi passa".
Solo che, un giorno, questo qualcuno - il filippino, appunto- non ne può più, non raccoglie più le schifezze e, rispondendo al datore di lavoro (lavoro, non umiliazione, è un concetto diverso), gli fa: "Signore, ma lei dire sempre che poi qualcuno passa...ma, signore, chi cazzo passa?Io passa..." E, tornando a Reggio, sapete qual'è la novità e che fa il paio con la reprimenda dell'assessore, ad esempio?
Che in alcune zone della Città la Leonia svuota i cassonetti e non tocca i sacchetti che restano a marcire all'esterno, e lo fa di proposito.
Voi li biasimate? Io no, come il filippino di Paolo Rossi.