Prima di "mani pulite", spartiacque imprescindibile per mille cose nel nostro Paese, alcune buone, altre cattive (la maggior parte lontane dalle luci dei riflettori) a qualunque magistrato di questo Paese fosse stato chiesto un parere su casi dei quali si occupava avrebbe risposto che i giudici "parlano soltanto attraverso gli atti che firmano".
"Mani pulite" e la sua mitizzazione mediatica hanno cambiato tutto.
Prima ad un magistrato non sarebbe importato nulla del consenso o del dissenso che il suo operato ingenerava tra la gente. Prima, la gente i magistrati non li conosceva nemmeno in faccia.
I volti di Sossi, Terranova, Scaglione, Coco sono diventati tristemente famosi soltanto dopo i loro assassinii.
"Mani pulite" ha insegnato che in troppi casi - attenzione alle generalizzazioni perchè sono numerosi i giovani magistrati che continuano ad applicare l'antico principio delle riservatezza dei modi e morigeratezza dei costumi, un esempio su tutti, il pm Woodcock- la caccia al microfono è spasmodica e così si aprono, in maniera incredibile, contenziosi sui giornali piuttosto che a "porta a porta" sull'operato relativo a questa o quella indagine, a questo o quel fascicolo.
Questo è il primo passo per la delegittimazione - termine spesso sbandierato in modo goffo e falsamente meschino- dei magistrati stessi.
Eh si, perchè soltanto i magistrati possono delegittimare i magistrati.
E chiacchierando, parlando - si badi bene dei singoli casi di indagine, non certo in generale- non fanno altro che scendere dal piedistallo dove istituzionalmente devono stare e tuffarsi nell'arena.
L'arena del dibattito, dell'intervista, delle risposte, dei comunicati stampa, dalla quale - per carità- possono anche venir fuori vincenti, ma nella migliore delle ipotesi risulteranno inzaccherati di fango.
E così il pm di Genova che non ha ritenuto di proporre l'arresto per l'omicida della signorina Multari, invece di trincerarsi dietro un dignitosissimo no comment, si richiama prima - genericamente- ad un fantomatico obbligo di legge (inesistente sul piano della esclusività discrezionale della sua valutazione) scatenando un pandemonio politico su un terreno, quello dell'inadeguatezza normativa, comunque realmente accidentato, e poi entra ancor più nel merito sottolineando che gli indizi forniti dalla Polizia non erano sufficienti per giustificare la richiesta di misura cautelare.
Risultato: il capo della Mobile genovese risponde per le rime, in modo durissimo, affermando di avere scritto a chiare lettere che trattavasi di soggetto pericoloso, da arrestare, gravemente indiziato dell'altro omicidio, etc. etc.
Insomma, un Pm ed un alto funzionario di Polizia di questa Repubblica danno vita a mezzo stampa ad una gazzarra indegna, sulla quale, ovviamente - ormai in modo incontrollabile- si avvitano i pareri più vari di politici, avvocati, associazione magistrati, opinionisti dell'ultim'ora e saltimbanchi assortiti.
Ma non sarà che ai magistrati - sissignore, proprio a loro- troppo spesso manca l'alta considerazione del ruolo istituzionale che sono chiamati a svolgere, talvolta a prezzo di grossi sacrifici?
Cioè, se io sono consapevole della mia alta funzione e dell'assoluta intangibilità delle mie scelte, secondo voi, scendo a risse verbali con giornalisti, parlamentari o funzionari di Polizia?
E di questi casi ce ne sono ogni giorno decine grazie a Dio relativi a conseguenze meno gravi, chi delegittima chi??