giovedì 29 aprile 2010

Se la sfida dello Stato diventa sfida allo Stato

da www.strill.it - Reggio, da almeno 40 anni, è abituata a convivere con la ‘ndrangheta e con la paura. Paura della ‘ndrangheta, certo, ma anche – per quanto paradossale possa apparire – paura di apparire, agli occhi del Paese (anche a causa di facili

generalizzazioni) come città di ‘ndrangheta nella sua anima, catalizzando su di sé le caratteristiche del boia e dell’assassino.
Le vicende relative all’arresto di Tegano vanno lette con lucidità ed estrema attenzione, facendo uno sforzo di serietà di analisi e rigorosità di metodo.
Partiamo dal dato più evidente: la “caciara” di parenti ed amici del boss fuori dalla Questura. Qui, in fretta, si è smarrito il senso del discorso: nel mirino non ci va – almeno direttamente - la città, rispetto alla quale, dopo le parole, di pancia, del Questore Casabona ha provveduto il Procuratore Pignatone a rimettere le cose a posto dichiarando che “è fatta per lo più da gente per bene”.
Nel mirino ci finisce e ci deve finire una parte minima della città per ciò che ha dimostrato essere capace di fare ma anche – indirettamente - l’intera città, dormiente e silenziosa nella sua parte migliore per decenni, per ciò che ha fatto involontariamente comprendere a questa gente rispetto a ciò che potesse fare (tutto) o non potesse fare (praticamente nulla).
Quella parte di Reggio che “se ne fotte dello Stato”, per dirla con Attilio Bolzoni, su Repubblica, lo ha sbandierato per oltre un’ora davanti alla Questura, con parenti, amici, donne e bambini in braccio in una sorta di muso a muso, occhi negli occhi con la Polizia. Un pesantissimo minuetto gestuale fatto di sguardi, di atteggiamenti, qualche volta anche di parole e minacce, assai più grave di qualche applauso familistico all’uscita del boss. Un’arroganza dichiarata e sbandierata al mondo intero davanti alle telecamere che assume la valenza di una vera e propria dichiarazione di guerra. Ancora stamattina altissimi funzionari e dirigenti della Questura erano basiti di fronte alla sfrontatezza di questi atteggiamenti tenuti non nel quartiere periferico, ma attorno alla Questura, come accadeva solo ad Africo decenni addietro.
E poi ci sono i ragazzi delle volanti, quelli che alla fine, a telecamere spente, vanno nei territori nemici. Quelli non parlano mai, ma sono turbati da quanto accaduto davanti alla loro casa, alla presenza di autorità e centinaia di poliziotti. Da oggi tocca a loro tornare ad Archi, nella notte, a bordo delle volanti.
La città non era quella davanti alla Questura ieri, certo, si trattava di una parte minima ma non insignificante, dato che, comunque, parliamo dell’ambiente vicino a Giovanni Tegano. Un ambiente che con tutti gli effettivi ha dimostrato allo Stato che, pur toccato pesantemente con arresti e sequestri di beni a raffica, non indietreggia di un millimetro, anzi è lì, nella tana del lupo, con gli occhi della tigre a fissare il nemico.
Abbiamo visto poliziotti, molti dei quali in servizio chissà da quante ore, abbassare lo sguardo per non incrociare quello di chi stava dall’altra parte, ne abbiamo visti altri essere in forte imbarazzo nell’allontanare chi aveva attraversato la strada ed era vicinissimo al punto dove sarebbero passati gli arrestati. Tutto questo davanti al massimo presidio provinciale dell’Ordine pubblico. Tutto questo non è bello, tutto questo schiude le porte, come ogni manifestazione di forza, anche a forti sospetti di debolezza ormai incontrollabile negli effetti da parte di un potere criminale al quale, insieme agli affetti, viene giorno dopo giorno portata via la cosa alla quale tiene di più: la roba.
E però resta la gravità inaudita di quanto accaduto ieri, se è vero, come è vero che il crimine e la lotta al crimine si nutrono entrambi di una forte simbologia. Forte simbologia da parte dei fans di Tegano che, poteva essere tranquillamente stoppata prima.
L’uscita, comprensibile nello spirito ed esagerata nei modi quanto devastante sul piano delle conseguenze d’immagine per la città da parte del Questore (alla quale ha immediatamente messo una pezza Pignatone) è stata dettata probabilmente dalla rabbia nel vedere i suoi uomini impotenti ( a quel punto per ragioni di opportunità e buon senso) di fronte alle provocazioni, ma – diciamolo francamente – l’intera situazione poteva essere gestita meglio.
Vista la caratura del personaggio ed anche il fatto che fin dalla tarda serata precedente decine di personaggi stazionavano davanti alla Questura sarebbe stato opportuno isolare l’intera zona non consentendo a nessuno di accedere all’intero isolato della Questura. Se si pensa che per il Consiglio dei Ministri è stata creata un’area rossa circa dieci volte più grande per mezza giornata il paragone non regge.
L’analisi lucida, infine, non può non soffermarsi sulla frase urlata da una donna (probabilmente la cognata): “Avete arrestato un uomo di pace”.
Cosa vuol dire? Si è trattato di una frase alla quale non attribuire particolari significati, da collocare in un contesto di grandissimo turbamento emotivo generale oppure c’è dell’altro, del vero dietro?
L’ultimo dei grandi boss latitanti poteva, in qualche modo, essere garante di equilibri frantumati dallo sbriciolamento assoluto degli assetti di decine di cosche sul territorio provinciale? E, quindi, cosa bisogna attendersi ora?
In quattro parole chi comanda a Reggio?