giovedì 30 agosto 2007

Diritti, doveri e responsabilità


L'avere abbattuto, dopo 35 anni, la vergogna della città di Reggio Calabria, il "ghetto" Rom del "208" è certamente un atto meritorio e storico per chi lo ha posto in essere. In qualche modo si riconquista un pezzo di territorio ceduto nei fatti, giorno dopo giorno, per decenni.

E adesso? Abbattuto il "208", restituito - speriamo in fretta - ad una fruizione degna per la comunità, il problema dell'integrazione dei Rom ancora tutto è tranne che abbattuto.

Ma qui bisogna avere il coraggio di fare delle scelte.

Tutti.

Amministrazione comunale in testa, ma anche Forze dell'Ordine, stampa e Città in senso lato.

Troppe volte, in passato si è pensato che fosse più comodo per tutti cedere una porzione di sovranità piuttosto che occuparsi di una seria azione di contrasto e repressione che sarebbe stata tanto difficile quanto utile alla causa dell'integrazione per quella parte di Rom che, invece, vive al di qua dei confini della legalità.

E' tempo di scelte.

Il segnale del "208" è fortissimo, ma non basta. Comportamenti illegali non possono essere più tollerati, da nessuna parte, in nessuna porzione del territorio.

Viceversa, la parte sana dei Rom ha ragione a reclamare l'attuazione di tutti i diritti che il sistema attribuisce loro.

Ma per essere credibili fino in fondo devono essere per primi loro a prendere le distanze da ogni comportamento illecito. E lo devono fare in maniera netta ed inequivoca.

Perchè, ormai, è tempo di responsabilità.

Per tutti.

martedì 21 agosto 2007

Siamo noi, siamo noi, i campioni dell' Europa siamo noi!


Se si parla di criminalità, ormai non ce n'è per nessuno.

Ragazzi, è ufficiale: la 'ndrangheta ha soppiantato tutti gli altri concorrenti su scala europea. Questo è il dato, questa è la notizia.

O no?

No, il fatto è - ahinoi - tristemente vero. Forti dubbi nutro sul dato che sia una notizia, una novità. Personalmente - a causa di un perverso intreccio di dinamiche di studio e lavoro che vi risparmio - sono da vent'anni circa uno studioso del fenomeno socio-criminale calabrese e siciliano, dunque conosco perfettamente lo spessore criminale della 'ndrangheta, ma anche chi ha scelto altri interessi lo ha imparato da tempo, ormai, dopo le svariate interviste di magistrati, collaboratori di giustizia, inquirenti vari.

Eppure ancora - in Italia e non solo - ci si sorprende della potenza della 'ndrangheta.

Eppure già sul finire degli anni '60 le 'ndrine avevano messo mani e piedi sulla Salerno-Reggio, nel 1970 rappresentavano il braccio armato di Borghese per il golpe, nel 1973 si permisero il lusso di sequestrare nientemeno che Paul Getty III, la presenza di un uomo dell'ndrine sul teatro della strage di via Fani, nel 1978, è cosa pressocchè certa.

E poi, ancora, il dominio assoluto del mercato della droga mondiale, il controllo degli appalti pubblici, gli investimenti immobiliari in tutta l'Italia settentrionale e gran parte dell'Europa nord-orientale, tutte cose note e stranote, sapute e risapute. Eppure c'è ancora qualche politico che cade dalle nuvole.

Distratto.

lunedì 13 agosto 2007

Chi delegittima chi?


Prima di "mani pulite", spartiacque imprescindibile per mille cose nel nostro Paese, alcune buone, altre cattive (la maggior parte lontane dalle luci dei riflettori) a qualunque magistrato di questo Paese fosse stato chiesto un parere su casi dei quali si occupava avrebbe risposto che i giudici "parlano soltanto attraverso gli atti che firmano".

"Mani pulite" e la sua mitizzazione mediatica hanno cambiato tutto.

Prima ad un magistrato non sarebbe importato nulla del consenso o del dissenso che il suo operato ingenerava tra la gente. Prima, la gente i magistrati non li conosceva nemmeno in faccia.

I volti di Sossi, Terranova, Scaglione, Coco sono diventati tristemente famosi soltanto dopo i loro assassinii.

"Mani pulite" ha insegnato che in troppi casi - attenzione alle generalizzazioni perchè sono numerosi i giovani magistrati che continuano ad applicare l'antico principio delle riservatezza dei modi e morigeratezza dei costumi, un esempio su tutti, il pm Woodcock- la caccia al microfono è spasmodica e così si aprono, in maniera incredibile, contenziosi sui giornali piuttosto che a "porta a porta" sull'operato relativo a questa o quella indagine, a questo o quel fascicolo.

Questo è il primo passo per la delegittimazione - termine spesso sbandierato in modo goffo e falsamente meschino- dei magistrati stessi.

Eh si, perchè soltanto i magistrati possono delegittimare i magistrati.

E chiacchierando, parlando - si badi bene dei singoli casi di indagine, non certo in generale- non fanno altro che scendere dal piedistallo dove istituzionalmente devono stare e tuffarsi nell'arena.

L'arena del dibattito, dell'intervista, delle risposte, dei comunicati stampa, dalla quale - per carità- possono anche venir fuori vincenti, ma nella migliore delle ipotesi risulteranno inzaccherati di fango.

E così il pm di Genova che non ha ritenuto di proporre l'arresto per l'omicida della signorina Multari, invece di trincerarsi dietro un dignitosissimo no comment, si richiama prima - genericamente- ad un fantomatico obbligo di legge (inesistente sul piano della esclusività discrezionale della sua valutazione) scatenando un pandemonio politico su un terreno, quello dell'inadeguatezza normativa, comunque realmente accidentato, e poi entra ancor più nel merito sottolineando che gli indizi forniti dalla Polizia non erano sufficienti per giustificare la richiesta di misura cautelare.

Risultato: il capo della Mobile genovese risponde per le rime, in modo durissimo, affermando di avere scritto a chiare lettere che trattavasi di soggetto pericoloso, da arrestare, gravemente indiziato dell'altro omicidio, etc. etc.

Insomma, un Pm ed un alto funzionario di Polizia di questa Repubblica danno vita a mezzo stampa ad una gazzarra indegna, sulla quale, ovviamente - ormai in modo incontrollabile- si avvitano i pareri più vari di politici, avvocati, associazione magistrati, opinionisti dell'ultim'ora e saltimbanchi assortiti.

Ma non sarà che ai magistrati - sissignore, proprio a loro- troppo spesso manca l'alta considerazione del ruolo istituzionale che sono chiamati a svolgere, talvolta a prezzo di grossi sacrifici?
Cioè, se io sono consapevole della mia alta funzione e dell'assoluta intangibilità delle mie scelte, secondo voi, scendo a risse verbali con giornalisti, parlamentari o funzionari di Polizia?

E di questi casi ce ne sono ogni giorno decine grazie a Dio relativi a conseguenze meno gravi, chi delegittima chi??

venerdì 10 agosto 2007

L'antimafia, i professionisti e gli assenti


Sui movimenti antimafia si possono avere mille idee.

Premetto che il famoso articolo di Leonardo Sciascia del 10 gennaio 1987 sui "professionisti dell'antimafia" che fece gridare allo scandalo lo condivido in massima parte e su questo sono disposto a confrontarmi a condizione che lo si analizzi con serenità, senza pregiudizi e con l'onestà intellettuale necessaria per comprendere a chi Sciascia si riferisse.

Ritengo - quindi- che gli unici professionisti dell'antimafia, legittimati, per professione ad essere, appunto, "anti-mafia" siano i giudici e gli inquirenti che lo fanno per mestiere.

Ritengo, altresì, che tutti gli altri- e sono tanti- che hanno fatto dell'antimafia un mestiere, in un Paese civile non siano accettabili.

Diversa è la situazione di chi, ad esempio, per motivi direttamente dipendenti dalla propria attività, è chiamato ad occuparsi del fenomeno per raccontarlo (giornalisti, storici) o per spiegarlo (sociologi).
Ancora diverso, molto diverso, è l'impegno di coloro i quali, per tensione etico-morale, si dedicano, spesso anima e corpo, a combattere i disvalori di cui le mafie sono portatrici o, meglio, quei disvalori già esistenti nell'humus socio-culturale dei territori dove il cancro attecchisce. Ecco, questa gente, spesso ragazzi, ma non solo, queste persone che non esitano a fare tutta l'Italia per stare assieme, che spendono le loro giornate per ciò che ormai è molto di più che una passione, vanno apprezzate.

Personalmente sono da sempre molto disincantato e non ho mai creduto che le manifestazioni di piazza risolvano qualcosa.

Ma in questo caso è diverso. E' diverso semplicemente perchè le mafie da sempre si nutrono del silenzio, di quella paura sottile che si abbraccia col disinteresse generale.

Ecco che, allora, in questo caso, la prospettiva si rovescia. Essere in piazza, esserci in tanti vuol dire che la vittima ancora non è morta, reagisce.

"Legalitalia", in questi giorni a Reggio Calabria per volontà di "Ammazzateci tutti", ha impresso, in qualche modo una svolta.

Ricordiamoci bene questa data: 9 agosto 2007.
Se qualcosa cambierà nel modo di concepire il rapporto tra 'ndrangheta e territorio;
se - e purtroppo sottolineo se- nel tempo tornerà ad essere ben chiaro nelle teste di tutti che la criminalità depreda il territorio, che è vittima senza "se" e senza "ma";
se sarà chiaro che, pur tra mille e mille modi di concepire ogni cosa, alla fine della fiera il mondo si divide in due uniche categorie, le persone per bene e quelle che non lo sono;
se sarà un dato assodato che le prime non possono avere nulla a che fare con le seconde, mai, mentre tra le prime un punto di contatto si dovrà trovare sempre.

Se, dicevo, se, se...se avverrà tutto questo, l'aver portato in piazza Duomo, dove la storia di Reggio più volte ha girato su sè stessa, gente comune, ragazzi, magistrati, scrittori, giornalisti, preti, vittime, il Sindaco di Reggio, sarà stata la scintilla (anzi l'esplosione).

Nessuno ha voluto mancare, chi è stato impossibilitato a presenziare (come Piero Grasso) ha delegato colleghi eccellenti (il dottore Macrì); lo stesso Prefetto di Reggio Musolino, neo-insediato, ha sottolineato la valenza ed il significato storico della manifestazione.

Ma siccome mi avanza un pizzico di veleno (che volete farci, mentre la vecchiaia incalza il carattere vero viene fuori...) ed i latini mi hanno insegnato che va messo nella coda, mi chiedo: come bisogna leggere l'assenza e, conseguentemente, il silenzio assordante della Regione Calabria alla prima giornata???
In effetti alla seconda giornata c'era Doris Lo Moro, ed ha fatto anche un figurone. Resta da capire, visto che si trattava della serata meno "istituzionale" e dedicata esclusivamente alle donne se ha partecipato in qualità di magistrato, di donna o di assessore regionale...

mercoledì 8 agosto 2007

Le bandiere e la qualità della vita

Stavolta i pensieri in libertà sono leggeri, come la domanda che mi pongo: parliamo di calcio, a mò di esempio di Reggina, ma potrebbe valere per chiunque, per qualunque squadra.
Mi chiedo - non essendone stato affatto esente in gioventù- cosa spinga i tifosi, gente normale (o no?) a non poter più fare a meno di un calciatore specifico, e la cosa va ben oltre le caratteristiche tecniche dello stesso.

Se - cioè- sul piano sociologico è stato spiegata in modo dettagliato e soddisfacente la genesi del rapporto con la propria squadra del cuore sotto il profilo del senso di appartenenza, del legame col territorio e quant'altro, non riesco ancora a spiegarmi in che modo faccia stare meglio (perchè alla fine di questo si tratta) i tifosi e li rassicuri il fatto che - ripeto, al di là della valenza tecnica- ci sia un giocatore piuttosto che un altro.

Insomma, la famosa "bandiera" in che modo migliora la nostra vita di tifosi?
Come dite? Stasera sono la brutta copia di Marzullo? Può darsi...

sabato 4 agosto 2007

"Un uomo fa quello che è suo dovere fare...



...quali che siano le conseguenze personali, gli ostacoli, i pericoli, le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana. " (John Fitzgerald Kennedy)



Ve lo avevo accennato; il senso del dovere da perseguire a qualunque costo, al punto di assurgere ad atto eroico ma non compreso dai più, vissuto dai più come un'imperdonabile ingenuità fa il paio con la rimozione della memoria storica di questo Paese.
Ed allora, un pò per gioco, un pò per vedere di nascosto l'effetto che fa, facciamo una verifica, i cui risultati - ovviamente- lascio alla vostra onestà intellettuale.
Ho scelto un elenco di "vittime del dovere" - che brutta espressione- e mi sono fermato, per comodità, per circoscrivere un cerchio enorme e forse solo per cominciare, alle vittime della mafia siciliana da fine anni '70 in poi.
Vediamo quanti di questi nomi, quante di queste scene agghiaccianti, quanti di questi morti per garantire a tutti noi un pizzico di libertà in più sono ancora nelle nostre menti. Oh, mi raccomando, fatemi sapere i risultati...

9 maggio 1978, ferrovia Palermo-Trapani. Viene ritrovato il corpo dilaniato di Peppino Impastato. Da una radio privata dileggiava il boss Badalamenti

26 gennaio 1979, Palermo. Viene ucciso il giornalista Mario Francese

9 marzo 1979, Palermo. Viene assassinato il segretario provinciale della DC, Michele Reina

20 marzo 1979, Roma. Cade il giornalista di OP, Mino Pecorelli

12 luglio 1979, Milano. Il liquidatore del Banco Ambrosiano di Michele Sindona, Giorgio Ambrosoli, viene ucciso da un killer appositamente inviato dalla mafia americana, William Aricò

21 luglio 1979, Palermo. Al bar sotto casa viene ucciso a colpi di pistola Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile

25 settembre 1979, Palermo. Sotto casa viene massacrato il Giudice Cesare Terranova, unitamente al suo "angelo custode", il maresciallo Lenin Mancuso

6 gennaio 1980, Palermo. Il Presidente della Regione Sicilia, Pier Santi Mattarella, appena entrato in auto con la moglie per andare a Messa, viene ucciso a colpi di pistola esplosi a distanza ravvicinatissima dal suo finestrino

4 maggio 1980, Monreale. Il Capitano dei Carabinieri, Emanuele Basile, è con la moglie e la figlioletta in braccio in mezzo alla folla, in occasione della Festa del Crocefisso. Tra la gente sbucano in tre che lo freddano da pochi centimetri

6 agosto 1980, Palermo. Il procuratore capo di Palermo, Gaetano Costa, in pieno centro, senza scorta, viene ucciso da un killer che lo spara alle spalle e poi infierisce su di lui a terra

30 aprile 1982, Palermo. Cadono il segretario regionale del PCI, Pio La Torre, ed il suo autista Rosario Di Salvo

3 settembre 1982, Palermo. In via Carini vengono tempestati di colpi di kalashnikov il Prefetto di Palermo, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie, Emanuela Setti Carraro e l'agente Domenico Russo

14 novembre 1982, Palermo. Bastano cinque colpi di pistola calibro 38 per mandare al Creatore uno dei più giovani e brillanti investigatori della Squadra Mobile di Palermo, Calogero Zucchetto

13 giugno 1983, Palermo.In cinque abbattono il capitano dei Carabinieri Mario D'Aleo ed i Carabinieri Giuseppe Bommarito e Pietro Morici. L'ufficiale stava proseguendo il lavoro del collega Basile

26 gennaio 1983, Trapani. Mitraglietta e pistola per ammazzare il giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto

29 luglio 1983, Palermo. E' il giorno della strage di via Pipitone: esplode un'autobomba per il giudice capo dell'Ufficio Istruzione, Rocco Chinnici. Il massacro non risparmia i Carabinieri Mario Trapassi ed Edoardo Bartolotta ed il portiere dello stabile dove abita il magistrato, Stefano Lisacchi


23 dicembre 1984, San Benedetto Val di Sambro, BO. La mafia, per creare attenzioni "diverse" nel Paese, colloca una bomba sul rapido "904". Muoiono: Giovanbattista Altobelli, Anna Maria Brandi, Angela Calvanese, Anna De Simone, Giovanni De Simone, Nicola De Simone, Susanna Cavalli, Lucia Cerrato, Pier Francesco Leoni, Luisella Matarazzo, Carmine Moccia, Valeria Moratello, Maria Luigia Morini, Federica Tagliatatela, Abramo Vastarella,Gioacchino Taglialatela, Giovanni Calabrò


23 febbraio 1985, Palermo. Ucciso l'ingegner Roberto Parisi, titolare della società che ha in appalto l'illuminazione pubblica ed il suo autista Giuseppe Mangano


28 febbraio 1985, Palermo. Viene freddato l'industriale Piero Patti; si era rifiutato di pagare mezzo miliardo

2 aprile 1985, Trapani. Abominevole delitto a Pizzolungo. Esplode un'auto carica di tritolo. Il bersaglio è sostituto procuratore Carlo Palermo, che scampa miracolosamente all'attentato. Muoino la giovane Barbara Rizzo ed i suoi gemellini, Giuseppe e Salvatore Asta, di sei anni, che casualmente transitano

28 luglio 1985, Porticello. Alle porte di Palermo, al termine di una giornata di relax con la fidanzata e gli amici, ancora in costume da bagno, viene massacrato il funzionario della Squadra Mobile, Beppe Montana

6 agosto 1985, Palermo. Un collega ed amico di Montana, Ninni Cassarà, dirigente della Squadra Mobile di Palermo, viene ucciso sotto gli occhi della moglie affacciata al balcone di casa. Con lui muore anche Roberto Antiochia, poliziotto appositamente rientrato dalle ferie per coprire le spalle al commissario in un momento incandescente dopo l'omicidio Montana. Dono almeno 12 i killers!

12 dicembre 1985, Villafranca Tirrena. Spietata esecuzione di Graziella Campagna, 17 anni, lavorante in una lavanderia. Qualcuno teme che la ragazza possa avere letto un'agendina "scomoda" dimenticata in un capo portato a lavare

7 ottobre 1986, Palermo.A soli undici anni viene ucciso con un colpo di pistola in faccia Claudio Domino, involontario testimone oculare "scomodo"

12 gennaio 1988, Palermo.Sono due i killers che uccidono l'ex sindaco di Palermo, Giuseppe Insalaco

14 gennaio 1988, Palermo. Cade l'agente Natale Mondo, sopravvissuto all'agguato Cassarà

14 settembre 1988, Trapani. Cade il magistrato Alberto Giacomelli

25 settembre 1988, Strada statale Agrigento-Caltanissetta. Imboscata tragica per il giudice che aveva appena inflitto l'ergastolo a Michele e Salvatore Greco, giudicati colpevoli per la strage Chinnici, Antonino Saetta e per il figlio Stefano

26 settembre 1988, Trapani. Cade un "pensatore" eccellente degli anni '60 e '70. Viene ucciso Mauro Rostagno, che aveva fondato una comunità di recupero per tossicodipendenti a Trapani

21 settembre 1990, Agrigento. Massacrato Rosario Livatino, il "giudice ragazzino"

9 agosto 1991, Campo Calabro, RC. Tocca al giudice Antonio Scopelliti, che avrebbe dovuto sostenere l'accusa nel maxiprocesso in Cassazione, a cadere sotto il fuoco. Le sentenze non accederanno mai all'ipotesi di un omicidio voluto dalle cosche palermitane

29 agosto 1991, Palermo. Tocca a Libero Grassi, che si è ribellato al racket, cadere sotto i colpi

23 maggio 1992, Capaci. Strage di Capaci. Muoiono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Antonio Montinari, Rocco Di Cillo e Vito Schifani

19 luglio 1992, Palermo. Strage di via D'Amelio. Cadono il giudice Paolo Borsellino e cinque uomini di scorta: Emanuela Loi, Walter Cusina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina e Agostino Catalano


Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, alle ore 1.04 ,a Firenze, in un' antica via del centro storico , via dei Georgofili,ai piedi della storica Torre del Pulci, sede dell'Accademia dei Georgofili , deflagra un'autobomba.
Si tratta di un Fiat Fiorino imbottito di 250 chilogrammi di una miscela esplosiva composta da tritolo,T4, pentrite, nitroglicerina. L'esplosione provoca il crollo della Torre e la devastazione del tessuto urbano del
centro storico per un'estensione di ben 12 ettari, con un impatto che è stato definito " bellico". Muiono Caterina Nencioni di 50 giorni, Nadia Nencioni di 9 anni, Angela Fiume di 36 anni, Fabrizio Nencioni di 39anni, Dario Capolicchio di 22 anni. Angela ,custode dell' Accademia dei Georgofili , risiedeva nella Torre con la sua famiglia. Dario , che proveniva da Sarzana e studiava architettura a Firenze, muore trasformato in una torcia umana nella sua abitazione, posta nell' edificio di fronte alla Torre. I feriti sono 48, moltissime famiglie rimangono senza tetto.Viene danneggiata anche la Galleria degli Uffizi, situata a pochi metri dalla zona dell' esplosione e altri edifici di interesse storico- artistico.Si perdono per sempre capolavori e preziosi documenti,ma soprattutto si perdono per sempre cinque vite.

Alle 23.14 del 27 luglio 1993, in via Palestro a Milano, una Fiat Punto salta in aria davanti al Padiglione d'arte contemporanea. Un attentato di stampo mafioso in cui muoiono Moussafir Driss, marocchino, che dormiva su una panchina, tre vigili del fuoco - Stefano Picerno, Carlo La Catena e Sergio Pasotto - e il vigile urbano Alessandro Ferrari, intervenuti perché da quell'auto usciva fumo. Dodici i feriti, sventrato il Padiglione d'arte contemporanea.

15 settembre 1993, Palermo. Un killer ammazza il parroco di Brancaccio, don Pino Puglisi. Tre mesi prima nella valla dei templi il Papa aveva tuonato contro la mafia

14 aprile 1996, Rebibbia. Al processo per la strage di capaci il pentito Di Matteo racconta l'uccisione del figlio, il piccolo Giuseppe Di Matteo, 11 anni, ucciso dalle cosche durante la collaborazione del padre

giovedì 2 agosto 2007

Ma l'impresa eccezionale è essere normale


Da più parti, in queste ore, ho sentito ripetere, a proposito della morte della guardia giurata Luigi Rende, "ma chi glielo ha fatto fare di reagire? Bastava consegnasse il denaro!"

Vero, verissimo. Peccato che Luigi Rende fosse lì con l'unico scopo di difendere quel denaro.

A costo della vita, come accaduto.

Si chiama senso del dovere, così desueto, incompreso, al punto da essere quasi dileggiato da chi non lo pratica, non lo capisce.

Eppure c'è chi lo mette ancora al primo posto, sopra ogni cosa.

Nonostante sia mandato allo sbaraglio, con dotazioni inadeguate, nonostante sarebbe assai più semplice consegnare i soldi, in ossequio all'antico brocardo "si futti a lira e cui 'a pensa...".

Ma per Luigi Rende e- vivaddio- per tanti altri, in ballo non ci sono i soldi, ma un'idea, un principio, un patto - personale e sociale.

Ed in un Paese, in una società, dove tutti quotidianamente straparlano di diritti, i più mistificati, i più meschinamente inventati, senza porsi nemmeno lontanamente il dubbio riguardante i doveri che devono camminare parallelamente proprio per garantire il rispetto dei primi, quanto fatto da Rende è una cosa gigantesca nella sua assoluta normalità.

Perchè, come cantava Dalla "...ma l'impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale"