lunedì 19 gennaio 2009

A caddara avi a bugghiri pi tutti...


“A caddara avi a bugghiri pi tutti”.
Dietro questo apparente principio di uguaglianza rischia di celarsi la madre di tutti gli equilibrismi che è funzionale a tutto tranne che a ciò per cui, in teoria, l’uguaglianza dovrebbe andare a braccetto: la giustizia.
Il Csm, da anni principale responsabile della notte buia in cui è precipitato il potere giudiziario in Italia, per sistema fa finta di non vedere , non sentire e non capire.
In nome di scelte a metà tra la difesa della casta ed il cerchiobottismo suggerito dalle correnti che lo animano (o lo mortificano?) il Consiglio Superiore della Magistratura ha chiuso gli occhi cento e cento volte.
Dovendo essere obbligato a dare ragione ad un uomo con la toga e necessariamente torto ad un altro, l’organo di autogoverno dei giudici di questa patetica Repubblica non ha mai fatto pendere da un lato il piatto di quella bilancia che proprio i magistrati sono chiamati ad attivare.
Attenzione, ad attivare, non a tenere in equilibrio.
Un equilibrio ricercato, spesso, a forza di spinte e controspinte, come un arbitro incerto e nel pallone compensa gli errori da un’area di rigore all’altra.
“A caddara avi a bugghiri pi tutti” ha – in buona sostanza – sentenziato il Csm ogni qual volta ha deciso di non decidere su decine di fascicoli che certificavano veleni e porcherie varie negli uffici giudiziari di mezza Italia, con Calabria e Reggio in testa.
Non sono poche le iniziative giudiziarie che hanno trovato l’unica conclusione all’interno di fascicoli disciplinari che giacciono da anni al Csm. Stanno lì a prender polvere in attesa che qualcuno si decida ad analizzarli ed a sancire le ragioni di uno ed il torto dell’altro quando si tratta – spesso – di magistrati l’un contro l’altro o se comportamenti fuori dalle righe sono ascrivibili a togati indipendentemente dall’attrito con colleghi.
Nessuno muove, in una sorta di immobile bilancia, protesa in ogni suo respiro ad evitare sbalzi. Un equilibrio garantito proprio da quelle correnti che sanno perfettamente che “oggi evitiamo il sacrificio di uno dei miei e domani di uno dei tuoi”, così a “caddara continua a bugghiri pi tutti”.
Magistrati da trasferire immobilizzati nelle medesime sedi da decenni, altri da sanzionare – bene che vada – sul piano disciplinare ignorati; tutto fermo, liscio, uguale, uniforme proprio come il bordo della caddara che, per un attimo, qualcuno ha pensato che potesse essere rovesciata dal caso De Magistris.
La clamorosa ribalta mediatica della vicenda, una lite da pollaio goffamente camuffata – con sprezzo del ridicolo - da diatriba tecnico-giuridica ha reso impossibile porre in essere l’attività che meglio riesce al Csm: l’immobilismo più assoluto, in una sorta di tragico un-due-tre stella.
Dovendo necessariamente intervenire e, quindi, dovendo gioco forza attribuire delle responsabilità a qualcuno, il Consiglio Superiore della Magistratura si è letteralmente superato: a Palazzo dei Marescialli hanno rapidamente compreso che, partendo da quel presupposto, l’equilibrio poteva essere garantito solo dando torto – e quindi ragione – ad entrambi i contendenti.
Bacchettate a Salerno e bacchettate a Catanzaro (ma un po’ di più a Salerno, meglio mandare un segnale a chi non si è fatto gli affari propri e ci ha messo in questa odiosa situazione, avranno pensato al Csm), come l’arbitro che non ci ha capito niente di una rissa o – peggio – non vuole scontentare nessuno e sventola il cartellino rosso sotto il naso di entrambi i contendenti.
Sono bravi, a Roma; c’è poco da aggiungere, solo applausi. Come riescono a fare “bugghiri a caddara per tutti” loro non ci riesce nessuno.
Intanto l’Anm, per bocca del suo massimo rappresentante Palamara, festeggia con un grottesco comunicato che segnala come “il sistema abbia dimostrato di avere gli anticorpi”.
Un fatto è certo: con questa decisione – di fatto – il Csm non ha spiegato al Paese (e nemmeno lontanamente aveva intenzione di farlo) se De Magistris sia impazzito – e con lui la Procura di Salerno – o se la gestione degli uffici giudiziari di Catanzaro fosse stata improntata a guarentigie, privilegi e violazioni di legge inaccettabili in qualunque paese civile post-medievale.
Non ce lo hanno detto.
Anche stavolta “a caddara avi a bugghiri pi tutti”.
In maniera perfettamente uguale e antidiscriminatoria.
Con buona pace anche di Salvo Lima che – almeno – su quella frase potrebbe vantare, se fosse in vita, i diritti d’autore…

domenica 4 gennaio 2009


da http://www.strill.it/ - Se vi aspettate un editoriale colmo di speranze e di slanci di ottimismo in nome della classica svolta di fine anno sospendete qui la lettura; non è nostra intenzione guastare il San Silvestro a nessuno.
E’ nostra intenzione, però – oltre che costume consolidato da quasi tre anni – chiamare le cose col loro nome, e, soprattutto, guardare in faccia la realtà, sempre e comunque.
E più brutto è il viso della realtà sotto la maschera, più strill.it ogni giorno lavora per tirarla via, quella maschera.
Il 2008 che la Calabria e l’area dello Stretto si lasciano alle spalle va in archivio come uno dei più neri della storia, ma il 2009 che arriva manda segnali ancora più inquietanti.
No, non sarà un anno facile, il 2009; sarà – probabilmente – il nodo di esplosione dei conflitti sociali irrisolti, anzi alimentati da decenni.
E però se il nostro territorio vuole ancora avere una speranza questa passa necessariamente attraverso la presa di coscienza di tutti, nessuno escluso.
La gente, quella comune, le vittime dello stato di cose, per intenderci, non possono chiamarsi fuori dal gioco.
Quando la posta in palio si alza, pericolosamente visto che è a rischio l’abc del vivere civile, la massa ha non solo diritti, ma anche doveri morali da esercitare. Anche mettendo a rischio – ulteriore – sé stessi; la massa ha il dovere di farsi sentire, di sottolineare che, come diceva Totò, “ogni limite ha una pazienza”.
Ed invece, a fronte di una classe dirigente incapace quando non gaglioffa, quella “stragrande maggioranza di Calabresi onesti” è informe più che inerme, ormai assuefatta a tutto, incapace di indignarsi di fronte a sprechi e ruberie, ad incapacità conclamate e privilegi crescenti, senza capire che, ad esempio, proprio dove finiscono i privilegi cominciano i diritti e se i primi aumentano a dismisura i secondi finiscono per scomparire inesorabilmente.
E chi assiste passivo all’elisione continua dei propri diritti fondamentali probabilmente non ha – poi – gran titolo per lamentarsi, perché ha ciò che si merita.
Così come la classe dirigente calabrese – intesa in senso più lato possibile – è esattamente ciò che i Calabresi si sono meritati, e soprattutto hanno scelto, anno dopo anno, lustro dopo lustro. La tragedia, però, sta nella considerazione per la quale alle spalle dei vecchi timonieri si affacciano altri il cui spessore etico-cultural-morale pare addirittura inferiore.
Troppo spesso abbiamo assistito in silenzio ad imprenditori che odorano di malavita, a politici che fanno gli affaristi, a magistrati che fanno politica, a giornalisti che oscillano tra il voler fare i giudici ed assecondare la straordinaria attitudine a vestirsi da cane di compagnia dei potenti, scodinzolante e tenero sul tappeto davanti al camino.
In questa sorta di apocalisse civile, culturale, socio-economica, i Calabresi hanno da sempre pensato che, piuttosto che alzare la voce, fosse molto meglio (certamente più facile) guadagnare a gomitate la scia della nave in attesa dei resti del banchetto lanciati dal ponte ed accreditandosi, nel frattempo, per essere le prime riserve, nel caso in cui – non si sa mai – si liberasse un posto a bordo del Titanic, anche nella stiva, tanto poi Dio provvede…
E così i pretoriani dei predoni aumentano, giorno dopo giorno, ed hanno da tempo abbattuto il loro già scarso spirito critico.
Troppi Calabresi vivono all’ombra dello pseudo potente protempore e per loro calzano a pennello i versi di Edoardo Bennato a proposito dei seguaci di capitan Uncino: “...ai suoi discorsi son sempre presente, ma non so bene cos’abbia in mente e non mi faccio più troppe domande. E non m’importa dov’è il potere, finchè continua a darmi da bere non lo tradisco e fino all’inferno lo seguirò…”
Come ha visto chi ha scelto di arrivare alla fine di questo fondo di fine anno ce n’è abbastanza per avvelenarsi il 31 dicembre e l'1 gennaio, ma anche abbastanza per smettere di dirsi le bugie raccontando (prima a noi e poi al Paese) che si, la Calabria ce la farà, sta ripartendo.
No, signori, la Calabria non ce la farà se chi sta nella stiva a remare e basta non pretenderà che i timonieri sbarchino al più presto e che al loro posto – in tutti i settori – ne arrivino altri che posseggano i necessari requisiti culturali, tecnici, etici e morali. Ma questi – ahinoi – non si possono comprare; questi stanno solo sui libri.
Ma, parafrasando ciò che disse un noto personaggio dello sport reggino ad un altro, altrettanto conosciuto: “tra me e te ci sono montagne di libri contro montagne di soldi…”
Felice anno nuovo, signori.