martedì 29 gennaio 2008

Chiamate un medico. Ma di quelli bravi...

Allora, proviamo a ricapitolare: accade che in questo strampalato Paese, mentre più di qualcuno dovrebbe avere a cosa pensare, mentre una delle sempre più numerose stragi bestiali, di furia cieca e animalesca - quella di Erba - approda in Corte d'Assise, a Como, siano centinaia le persone in coda fin dalle sei del mattino davanti al Palazzo di Giustizia per accaparrarsi uno dei "preziosissimi" sessanta tagliandi che davano diritto ad assistere dal vivo al processo.


Ora, escludendo che si tratti di bramosia "tecnica", di cultori della materia, assistiamo alla rappresentazione più marcata della degenerazione della società. Tanti giovani, alcune massaie, qualche professionista, ma anche pensionati, impiegati che hanno chiesto un giorno di permesso, gente che magari ogni giorno maledice la vita perchè ti obbliga ad alzarti quando ancora è buio, ha scelto, per una volta, di farlo a gusto proprio.


Ed ha scelto di farlo solo per rivivere in aula la ricostruzione della violenza più belluina.


Belve, certo, quelle che agiscono come le cronache raccontano.


Ma gli altri, quelli in coda, come li definiamo???


In attesa di risposta, per favore, chiamate un medico.


Ma che sia bravo.

giovedì 24 gennaio 2008

"Legga di più, studi di più, si informi di più"

Bastano trent'anni e più per scrivere la storia nella sua genesi e nelle sue dinamiche evolutive?
Certamente no, ma - in un'era che corre e che brucia in un giorno ciò che prima stava a galla mesi - mettere i paletti sui fatti, scrostare qualche alone di ingiustificata leggenda è cosa non solo possibile ma anche doverosa.

Sono passati trent'anni esatti dal 1977-78, la punta più alta (o più bassa, fate voi) del delirio collettivo che caratterizzò gli anni '70.

Ed oggi, dopo oltre tre decenni, bisogna dirlo a chiare note: quegli anni rappresentano il punto più basso della storia postunitaria del Paese. Furono anni bui, violenti, in ogni settore. Violenza verbale e violenza fisica.

Certo, furono anche anni (come sempre in questi casi, la storia lo insegna) di grandi fermenti culturali, ma questo non basta per ammantarli di leggenda come qualcuno tenta di fare.

C'è una forte dose di equivoco sull'analisi degli anni '70 ed è tempo di spazzarla via.

La figuraccia rimediata da Floris, conduttore di Ballarò che, alla definizione di Giuliano Ferrara (che può stare simpatico o antipatico, ma sul cui spessore culturale non è lecito dubitare) di anni "maledetti" ha ribattuto sorridente ( e come sennò?) : "Per me, veramente, il 1978 è l'anno dei Mondiali di Argentina".

"Beato lei. Io, però, non ne farei un vanto. Legga di più, studi di più, si informi di più, caro Floris" ha risposto, caustico, Ferrara...


martedì 15 gennaio 2008

Non decidere è peggio che decidere male


Quante cose possono accadere in un anno?

Quente cose si possono fare?

Infinite?

No, infinite no, ma tante di sicuro si.

Un anno fa il Segesta veniva speronato nello Stretto, quattro persone chiudevano lì il loro percorso terreno.

E' passato un anno, fiumi di parole si sono spesi, spesso scientemente vuoti. Meglio, falsi.

Sullo Stretto non è cambiato nulla, la navigazione è insicura come allora.

Ancora una volta sulla gente si è abbattuta la iattura più grande; peggio delle decisioni sbagliate c'è solo il non decidere

sabato 5 gennaio 2008

Ed io sto con Napoli!


Non escludo che la mia passione per tutto ciò che è controverso, difficile, apparentemente dannato mi possa condizionare.

Non escludo che il fascino che, da sempre, esercitano su di me Napoli ed i Napoletani possa incidere sull'analisi.

E però io sto con Napoli; io, per quel poco, pochissimo che possa contare, sto con la gente di Napoli.

Nei giorni del delirio, della follia, dell'inferno (niente evoca più un girone dantesco di cataste di rifiuti che bruciano) più di qualche voce - anche autorevole - si è levata dicendo che, in fondo, i Napoletani in qualche modo se lo meritano o se la sono cercata questa situazione da incubo metropolitano.

Chi mi conosce sa quanto io sia duro, a tratti durissimo, nelle valutazioni quotidiane di ciò che accade in questo nostro sgangheratissimo Sud, spesso più carnefice che vittima del proprio destino.

Ma a tutto c'è un limite; se è vero che - come diceva Lincoln- "nessuno è in grado di governare un altro senza il suo consenso" è anche vero il contrario, soprattutto se da parte di chi, nei secoli, avrebbe dovuto governare nulla è arrivato.

Governare significa prima di ogni cosa scegliere. Chi governa, a qualunque livello, prima ancora di fare la cosa giusta, ha il dovere di fare delle scelte. Anche, anzi soprattutto se sono scomode.

Napoli (in realtà non solo Napoli, ma il capoluogo partenopeo è l'emblema di tutto ciò) ha sempre avuto solo disinteresse.

Oggi - in piena emergenza non certo originata dalla gente di Napoli - a loro si chiede senso civico, responsabilità rispetto delle regole, senso del dovere, idea di Stato.

Quello stesso Stato che non è riuscito a dare risposte alle più elementari ed ineludibili esigenze di un territorio: sicurezza, occupazione, lavoro, pulizia.

Non ce ne sono altri pilastri; a Napoli in particolare ed al Sud in genere, sono stati tutti abbattuti, sbriciolati da logiche spartitorie pluridecennali o forse da ricondurre addirittura ai primi tempi della fase postborbonica (anche questa originata da un ribaltone passato sopra la testa della gente, ma questa è un'alra storia).

Destra e sinistra, prima e seconda Repubblica hanno saccheggiato Napoli o, peggio, si sono svenduti alla minoranza che comanda illegalmente e senza scrupoli.

Ed ora si chiede a Napoli di dimostrare il senso dello Stato.

"Colpo di Stato, ma che colpo se lo Stato qui non c'è", cantava Stefano Rosso esattamente 30 anni fa.

Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, ma sembra scritta ieri