martedì 12 maggio 2009

Dal referendum a Giorgiana Masi


da http://www.strill.it/ - La Calabria – come sempre – era lontanissima dai fermenti del resto del Paese; le immagini di un'Italia fatta di piombo e sangue, di una comunità che faceva fatica a professare lo slogan “nè con lo Stato nè con le BR” sventolato da “Lotta
Continua” soprattutto se inteso come presa di distanza contemporanea da un certo modo di amministrare lo Stato e la sovversione – attraverso la violenza – dei valori costituzionalmente sanciti e garantiti giungevano in Calabria attraverso la televisione.
Quei valori che il 12 maggio del 1974 conoscevano uno dei momenti più alti con l'esito del referendum sul divorzio che rigettava la proposta di abrogazione della norma che lo aveva introdotto nel dicembre del 1970.
Sono passati esattamente 35 anni da quel giorno, era un'altra Italia, un'altra società.
La Lazio di Chinaglia e Re Cecconi – quella mirabilmente e non casualmente passata alla storia anche attraverso uno stupendo saggio di Guy Chiappaventi – come la Lazio di “pistole e palloni” proprio quel giorno vinceva il suo primo, storico, scudetto e l'Italia, andando alle urne, dimostrava di esserci, di volerci essere.
35 anni fa per quel referendum andarono al voto oltre l'87% degli aventi diritto.
Il 59,3% dissero “no” alla proposta di abrogazione della legge istitutiva del divorzio.
Tre anni dopo, il 12 maggio del 1977, 32 anni da oggi, per le strade di Roma lasciava in terra con i suoi ultimi respiri sogni e speranze, ideali e passioni la diciannovenne Giorgiana Masi.
Stava manifestando insieme ad altre migliaia di giovani per celebrare proprio il terzo anniversario di quel referendum.
L'Italia, però, era ancora cambiata, in peggio.
Era un'Italia che viveva, che respirava – insieme – violenza e fermenti in una sorta di esplosione incontrollata.
Giorgiana manifestava pacificamente e basta, ma – come detto – in quegli anni il controllo della situazione sfuggiva facilmente ed i morti si contavano quasi quotidianamente, di qua e di là, tra Forze dell'ordine e manifestanti, spesso drammaticamente coetanei, trovatisi a giocare con la vita e la morte in una situazione più grande di loro.
La Calabria, come detto, era lontana da queste dinamiche, viveva altri drammi, i suoi personali, alle prese con sottosviluppo, un grande futuro dietro le spalle e – a Reggio – la prima guerra di 'ndrangheta.
Ma, senza saperlo, il 12 maggio - del '74 e del '77 - cambiava il volto del futuro del nostro Paese, Calabria compresa

lunedì 4 maggio 2009

Sugheri d'acciaio che si mangiano la Calabria


da http://www.strill.it/ - Ogni tanto (non sempre, per carità, con la salute non si scherza...) presenziare per intero ai lavori del Consiglio regionale è cosa buona e giusta.
Orbene (quanto mi piacciono gli avverbi...)
se hai la serenità e la lucidità per porti su uno scranno leggermente più in alto dei protagonisti – e questo il giornalista dovrebbe fare sempre – spunti di valutazione ne cogli a iosa.
Tra i mille guai che affliggono la Calabria la madre di tutti sta in una classe dirigente inadeguata e, ormai vecchia.
Mesi fa scrissi un fondo dal titolo “Chi si è mangiato la Calabria”. Era una ricostruzione appassionata della genesi di questa situazione di quasi non ritorno in cui ci siamo cacciati. Condivisibile o meno, certo non campata in aria.
Mal me ne colse, al mio ritiro in riva allo Jonio giunsero eco di non gradimento del pezzo.
E si lagnarono i vecchi e i giovani, i locali e i regionali.
Bene: una vecchia regola non scritta del giornalismo sottolinea che ciò testimonia la riuscita del pezzo.
Durante l'ultima seduta dell'Assemblea regionale – quella dedicata al piano di rientro dai 2 miliardi e rotti di deficit sanità – su un punto si sono trovati – a mezza lingua – tutti d'accordo: i dirigenti della sanità calabrese, ma il concetto potrebbe tranquillamente essere esteso, sono diventati una specie di ristrettissimo ordine sacerdotale dal quale non si esce.
Meravigliosa l'immagine che ci ha regalato Sandro Principe: sono come sugheri d'acciaio, leggeri come il sughero che galleggia sempre, ma, al tempo stesso, forti come l'acciaio inossidabile che consente loro di stare nell'acqua per decenni senza marcire.
Un Loiero in forma smagliante, al massimo delle sue capacità scenico- interpretative (leggendario il passaggio in cui ha detto “qualcuno dice che io sono un furbo, ma non è così...”), ad un certo punto, ben compreso che a fronte di un disastro di portata epocale avrebbe potuto solo assecondare gli strali, ha seguito Principe nel suo ragionamento, ma subito dopo si è lasciato andare ad un'ammissione che è scivolata via, ma la cui portata è gravissima.
In buona sostanza Loiero ha ammesso che alle spalle di questi “sacerdoti”, sulle qualità dei quali lui giura ad occhi chiusi, comunque c'è il nulla.
I guru da fuori in Calabria non ci vogliono venire ed all'interno della nostra terra c'è poco.
Delle due l'una: o non si trovano giovani manager capaci perchè, probabilmente, c'è un codicillo scritto piccolo piccolo, forse nemmeno scritto, che tra i requisiti aggiunge ai termini “giovani” e “capaci” anche quello “asserviti al sistema”, oppure il guaio è ancora più serio.
Il guaio più serio è rappresentato da una politica affarista ed acchiappatutto che nei decenni ha non solo depredato la Calabria, ma, soprattutto, ha azzerato la crescita di una classe dirigente, vera, seria e di ricambio.
Se, ad esempio, nelle strutture speciali dei consiglieri regionali, nate per garantire il necessario supporto tecnico-giuridico-amministrativo ai politici, quasi sempre troviamo gente senza né arte né parte che alla voce “studio” identifica solo una stanza della casa (dall'imprecisata destinazione d'uso), gente messa lì quasi sempre esclusivamente per soddisfare compromessi ed obbligazioni assunte in campagna elettorale, è lecito meravigliarsi più di tanto se, poi, al momento di fare le cose, di redigere i provvedimenti, le persone capaci, coloro che “masticano” diritto, principi economici ed amministrazione della cosa pubblica sono sempre meno?
E mentre i sugheri d'acciaio galleggiano la Calabria affonda...

15 anni e il motorino

da www.strill.it -
Avevo 15 anni, andavo a scuola, stavo per terminare il terzo liceo.
Il liceo era quello scientifico, il "Vinci" di Reggio Calabria, dunque relativamente vicino a via Apollo.
Via Apollo, per me non esisteva, nel senso che da pochi mesi (da quando avevo ottenuto dai miei il motorino) mi capitava di passarci, ma non ne avevo imparato il nome.
D'altra parte è una via piccolina, corta, stretta tra il castello e la via che – appunto – porta al Liceo scientifico.
I telefoni cellulari non esistevano, ad internet nemmeno la fantasia più sfrenata di Spazio 1999 era giunta, dunque le notizie ancora seguivano, almeno nella loro più immediata forma di divulgazione, la tradizione orale.
Ma, come cantava De Andrè, “una notizia un po' originale non ha bisogno di alcun giornale, come una freccia dall'arco scocca, vola veloce di bocca in bocca”.
Il musicista genovese, in realtà si riferiva a ben altro tenore di notizia, ma il concetto vale ugualmente e, francamente, quella mattina l'originalità – tragica – della notizia non era in discussione.
Era l'anno dei mondiali, quelli dell'82, che sarebbero andati in scena a distanza di poco più di un mese da quel 3 maggio.
Poco dopo le 8, quella mattina, in via Apollo saltò per aria con la sua automobile l'imprenditore Gennaro Musella.
Il boato scosse i muri, forse non a sufficienza le anime.
Per mesi, passando da quella via era possibile, alzando la testa, notare schizzi di sangue sui balconi (anche ai piani alti) del palazzo di fronte.
Reggio – che pure non era nuova ad attività feroci della criminalità organizzata – quella mattina saltò il fosso.
Nulla era più off-limits, tutto era concesso alla ferocia criminale.
E vennero le bombe, e vennero i morti ammazzati per le strade, e vennero i bazooka, e vennero ancora autobomba in pieno centro, davanti agli ospedali.
Io non ho mai dimenticato quella mattina di quindicenne che correva incontro all'estate, vuoi per una innata passione per gli eventi contemporanei che fanno storia, vuoi per la conseguente emotività con la quale vissi l'episodio; negli anni, in questi 27 lunghi anni, mentre altrove – giustamente – fanno delle ricorrenze simili un triste rosario di appuntamenti annuali, mi chiesi spesso perchè mai quella morte interessasse solo ad Adriana Musella, perchè mai sulla fine in stile libanese di Gennaro Musella, un imprenditore, non un boss o un magistrato scomodo (personaggi comunque “in guerra”) fosse sceso l'oblio.
La risposta forse è tutta nella piega differente che hanno preso gli eventi della storia criminale in Sicilia piuttosto che in Calabria.
La risposta è tutta nella folla che attende fuori dalla Questura di Palermo per insultare l'ultimo boss latitante catturato mentre a Reggio piovono applausi e fiori.
Non ho più 15 anni, non ho più il mio motorino, la sorte ha portato il mio lavoro quotidiano a 20 metri da via Apollo.
Che da oggi ho imparato a chiamare via Gennaro Musella