sabato 14 luglio 2007

Quel che resta di noi


Nel 1970 avevo appena 3 anni, però, ebbi la fortuna di abitare a Reggio in pieno centro, per cui il balcone di casa era, in realtà, una continua platea dalla quale vedere, ora dopo ora, ciò che mi appariva come un gioco: la rivolta.
Sono passati esattamente 37 anni dal giorno in cui ebbe inizio, eppure le sensazioni di quel gioco di allora le ricordo perfettamente e, nonostante, mi apparisse – appunto- un gioco, era un gioco strano, perché la tensione, la preoccupazione la percepivo.
Mi sembrava un gioco, ad esempio, vedere le macchine in fiamme lanciate sotto il mio balcone verso il Corso Garibaldi; non mi appariva più un gioco quando eravamo obbligati a serrare le finestre per il fumo dei lacrimogeni che rischiava di entrare in casa.
Mi sembrava un gioco – quando ad una certa ora la situazione si era tranquillizzata- andare di tanto in tanto con mio padre a curiosare, in automobile, in mezzo alle macerie delle barricate ed agli incalcolabili danni provocati da una giornata di battaglia; non era un gioco, però, quando fui orgoglioso di lui perché, di ritorno dal lavoro, portò a casa un candelotto lacrimogeno che avevano sparato i poliziotti durante una carica nella quale si era imbattuto nel tragitto dall’ufficio a casa.
Il candelotto, naturalmente, è ancora – 37 anni dopo- sul mobile di casa, anzi sulla mensola del salotto, per essere precisi.
Non so cosa sia rimasto di quegli anni, me lo chiedo spesso.
Certo, ricordo come eravamo.
E vedo come siamo.
Facciamo un gioco assieme: chi si ricorda come eravamo?