domenica 8 luglio 2007

Che anni quegli anni...


...di merda!

Sarebbe ora che - finalmente- qualcuno trovasse il coraggio di dirlo: i "mitici" anni '70, idolatrati come si conviene a tutto ciò che ci riporta ad una gioventù che non c'è più, furono anni di merda!

Sono passati esattamente trent'anni dal 1977, probabilmente la boa spartiacque, l'apice di un'Italia che non si ritrovava più in nessun modo.

Trent'anni dall'omicidio di Giorgiana Masi, dalle decine di morti nelle piazze, dalle gambizzazioni.

Ma - paradossalmente- il tempo che passa non assegna la giusta cornice agli eventi, ma quasi li ammanta di quel "mitico" che, francamente, è non solo abusato ma addirittura usurpato.

Era un Paese in ginocchio, per oltre due lustri fu un'Italia che faceva fatica a guardarsi dentro, a capire cosa fosse impazzito nella propria anima.

Era un'Italia che non comprendeva - e non comprese- perchè mai l'unico sistema per provare a proporre le istanze di "svecchiamento" dello Stato dovesse essere, in realtà, il solo che inevitabilmente ne avrebbe rafforzato i sistemi più conservatori.

Furono anni in cui ciascuna entità in gioco riuscì a ritagliarsi spazi che regalarono agli attori l'illusione di guadagnare terreno, senza accorgersi, però, di stare perdendo la battaglia più importante: quella contro il tempo.

Quel tempo che in fretta fece diventare il tutto anacronistico; quel tempo che logorò anche i più convinti assertori della lotta armata.

La notte della Repubblica, come la chiamò stupendamente il maestro Zavoli, era cominciata, in verità, da tempo, ma quel 1977 il buio fu pesto e l'anno successivo -quello del sequestro Moro- fu solo quello dei "botti" più evidenti.

Ma la gente, quella alla quale più di qualcuno dovrebbe spiegare cosa avessero di "mitico" quegli anni, visse per anni nel buio di quella notte. Un buio che metteva a rischio non solo il quotidiano, ma che teneva sotto una fitta cappa anche e soprattutto il futuro.

Che l'Italia - in definitiva- sia stata sotto guerra civile, sottile quanto reale, per oltre 40 anni è un dato di fatto.

Ma che in quegli anni '70 qualcosa sia cambiato è innegabile.

Eppure in mezzo al piombo ed al buio, anzi dietro di questi ci furono anche tanti fermenti spontanei, culturali, soffocati dai modi ed anche dalle strumentalizzazioni di qualcuno.

Sono passati trent'anni da quando l'Italia, quella che alle 6 del pomeriggio si chiudeva dentro casa, quella delle fabbriche sotto picchettaggio e del "colpirne uno per educarne cento", provava a ritagliarsi un mondo parallelo tuffandosi nella "Febbre del sabato sera" di John Travolta.

Sono passati trent'anni da "Stay'n alive" e "More than a woman".

Ecco, se dopo tre decenni devo sforzarmi di individuare un aspetto che possa regalare una qualche nostalgia che poggi la nobiltà del suo sentimento su qualcosa di diverso dalla triste idolatria fine a sè stessa per la propria icona giovanile, se qualcosa - non l'unica, per carità, ma di sicuro quella più identificativa- deve assumere le sembianze di un'immagine, niente incarna il paradosso di quegli anni più di John Travolta e della sua giacca bianca, fatta roteare sopra il capo.

Ma ancora più grave di avere scritto la storia di quegli anni sarebbe averli archiviati, consegnati alla storia, appunto, senza averli metabolizzati, averli solo "spostati" in quanto scomodi senza che siano stati analizzati con lo spirito sereno e serio che si confà ad un Paese che sa esattamente cosa muove chi e, soprattutto, viceversa.

Ma l'Italia, di questo fantomatico Paese, non ha proprio nulla, anche perchè per riconoscere è necessario conoscere. Ed il Bel Paese - è noto- del proprio passato, prossimo e remoto, non sa quasi nulla...