mercoledì 11 luglio 2007

Niente di personale...


"Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo che saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto. Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa".

E' la parte saliente ed agghiacciante della lettera che Giorgio Ambrosoli, avvocato, scrisse alla moglie quattro anni prima di essere ucciso, a colpi di pistola, 28 anni fa, l'11 luglio del 1979.

Sapeva a cosa andava incontro o, quanto meno, cosa rischiava.

Cosa sia rimasto di quell'omino che, da commissario liquidatore della Banca Privata, quella di Michele Sindona, si era messo in testa di fare saltare il banco, a distanza di quasi 6 lustri, è complicato da scoprire.

Come, invece, sia andato incontro al massacro, è ben chiaro.

A distanza di anni, quando - ormai- i segreti inconfessabili del Paese sono diventati segreti di Pulcinella, nel senso che tutti li conoscono, sempre più nei dettagli, ma nessuno può essere chiamato a renderne conto, viene sempre più la voglia di dar ragione alla vedova Moro quando, parlando dell'omicidio del marito, ad un intervistatore disse "Mi creda, è meglio metterci una pietra sopra e lasciare fare a Dio!"

E Dio (ma non solo) sa bene quale gioco gigantesco si sia messo in moto ed abbia stritolato Giorgio Ambrosoli, avvocato milanese.

In un colpo solo, seguendo - come anni dopo e prima di seguire lo stesso destino di Ambrosoli, sia pure saltando per aria, disse Giovanni Falcone- la via dei soldi, Ambrosoli era sul punto di tirare le fila del sottile ed indistruttibile filo rosso che legava la finanza italiana, alla politica, alla P2, alla mafia, al Vaticano.

Roba da fare strike con una palla sola!

Nemmeno nelle favole a lieto fine un piccolo omino, da solo, riesce a mettere in scacco un sistema intero.

Più volte era stato minacciato, ma lui - imperdonabile errore- era uno di quelli che al lieto fine ci credeva, anche se, come dimostrato dalla lettera alla moglie, più di un brivido lungo la schiena accompagnava le sue giornate.

Qualcuno crede che il sacrificio estremo degli uomini non sia vano se da questo discendono conseguenze positive, per reazione.

Se credete a questa ipotesi non deve far fatica, la vostra mente, a comprendere come - di converso- l'anima di Ambrosoli vaghi senza pace da qualche parte.

Perchè negli anni l'Italia degli intrallazzi e dei misteri, delle trasversalità e delle stragi di Stato, ha continuato ad attorcigliarsi su sè stessa, spostando ogni giorno più in là i paletti della decenza, della vergogna, dell'infamia.

No, egregio avvocato Ambrosoli, il suo estremo sacrificio non è servito proprio a niente.

Mi duole dirlo, ma credo che almeno ad un pò di franchezza la sua anima abbia diritto.

Non è servito, non solo perchè le cose non sono cambiate nemmeno un pò, ma anche perchè il Paese - tranne qualche rara eccezione- di quegli anni ricorda più facilmente il volto di Alessandro Scanziani, oscuro pedatore dell'Inter, che il suo.

Non me ne voglia, avvocato, se sono stato crudo.
Come le disse William J.Aricò mentre l'ammazzava sparandole addosso da pochi metri: "Niente di personale, è il nostro lavoro"