da http://www.strill.it/ - Se vi aspettate un editoriale colmo di speranze e di slanci di ottimismo in nome della classica svolta di fine anno sospendete qui la lettura; non è nostra intenzione guastare il San Silvestro a nessuno.
E’ nostra intenzione, però – oltre che costume consolidato da quasi tre anni – chiamare le cose col loro nome, e, soprattutto, guardare in faccia la realtà, sempre e comunque.
E più brutto è il viso della realtà sotto la maschera, più strill.it ogni giorno lavora per tirarla via, quella maschera.
Il 2008 che la Calabria e l’area dello Stretto si lasciano alle spalle va in archivio come uno dei più neri della storia, ma il 2009 che arriva manda segnali ancora più inquietanti.
No, non sarà un anno facile, il 2009; sarà – probabilmente – il nodo di esplosione dei conflitti sociali irrisolti, anzi alimentati da decenni.
E però se il nostro territorio vuole ancora avere una speranza questa passa necessariamente attraverso la presa di coscienza di tutti, nessuno escluso.
La gente, quella comune, le vittime dello stato di cose, per intenderci, non possono chiamarsi fuori dal gioco.
Quando la posta in palio si alza, pericolosamente visto che è a rischio l’abc del vivere civile, la massa ha non solo diritti, ma anche doveri morali da esercitare. Anche mettendo a rischio – ulteriore – sé stessi; la massa ha il dovere di farsi sentire, di sottolineare che, come diceva Totò, “ogni limite ha una pazienza”.
Ed invece, a fronte di una classe dirigente incapace quando non gaglioffa, quella “stragrande maggioranza di Calabresi onesti” è informe più che inerme, ormai assuefatta a tutto, incapace di indignarsi di fronte a sprechi e ruberie, ad incapacità conclamate e privilegi crescenti, senza capire che, ad esempio, proprio dove finiscono i privilegi cominciano i diritti e se i primi aumentano a dismisura i secondi finiscono per scomparire inesorabilmente.
E chi assiste passivo all’elisione continua dei propri diritti fondamentali probabilmente non ha – poi – gran titolo per lamentarsi, perché ha ciò che si merita.
Così come la classe dirigente calabrese – intesa in senso più lato possibile – è esattamente ciò che i Calabresi si sono meritati, e soprattutto hanno scelto, anno dopo anno, lustro dopo lustro. La tragedia, però, sta nella considerazione per la quale alle spalle dei vecchi timonieri si affacciano altri il cui spessore etico-cultural-morale pare addirittura inferiore.
Troppo spesso abbiamo assistito in silenzio ad imprenditori che odorano di malavita, a politici che fanno gli affaristi, a magistrati che fanno politica, a giornalisti che oscillano tra il voler fare i giudici ed assecondare la straordinaria attitudine a vestirsi da cane di compagnia dei potenti, scodinzolante e tenero sul tappeto davanti al camino.
In questa sorta di apocalisse civile, culturale, socio-economica, i Calabresi hanno da sempre pensato che, piuttosto che alzare la voce, fosse molto meglio (certamente più facile) guadagnare a gomitate la scia della nave in attesa dei resti del banchetto lanciati dal ponte ed accreditandosi, nel frattempo, per essere le prime riserve, nel caso in cui – non si sa mai – si liberasse un posto a bordo del Titanic, anche nella stiva, tanto poi Dio provvede…
E così i pretoriani dei predoni aumentano, giorno dopo giorno, ed hanno da tempo abbattuto il loro già scarso spirito critico.
Troppi Calabresi vivono all’ombra dello pseudo potente protempore e per loro calzano a pennello i versi di Edoardo Bennato a proposito dei seguaci di capitan Uncino: “...ai suoi discorsi son sempre presente, ma non so bene cos’abbia in mente e non mi faccio più troppe domande. E non m’importa dov’è il potere, finchè continua a darmi da bere non lo tradisco e fino all’inferno lo seguirò…”
Come ha visto chi ha scelto di arrivare alla fine di questo fondo di fine anno ce n’è abbastanza per avvelenarsi il 31 dicembre e l'1 gennaio, ma anche abbastanza per smettere di dirsi le bugie raccontando (prima a noi e poi al Paese) che si, la Calabria ce la farà, sta ripartendo.
No, signori, la Calabria non ce la farà se chi sta nella stiva a remare e basta non pretenderà che i timonieri sbarchino al più presto e che al loro posto – in tutti i settori – ne arrivino altri che posseggano i necessari requisiti culturali, tecnici, etici e morali. Ma questi – ahinoi – non si possono comprare; questi stanno solo sui libri.
Ma, parafrasando ciò che disse un noto personaggio dello sport reggino ad un altro, altrettanto conosciuto: “tra me e te ci sono montagne di libri contro montagne di soldi…”
Felice anno nuovo, signori.
E’ nostra intenzione, però – oltre che costume consolidato da quasi tre anni – chiamare le cose col loro nome, e, soprattutto, guardare in faccia la realtà, sempre e comunque.
E più brutto è il viso della realtà sotto la maschera, più strill.it ogni giorno lavora per tirarla via, quella maschera.
Il 2008 che la Calabria e l’area dello Stretto si lasciano alle spalle va in archivio come uno dei più neri della storia, ma il 2009 che arriva manda segnali ancora più inquietanti.
No, non sarà un anno facile, il 2009; sarà – probabilmente – il nodo di esplosione dei conflitti sociali irrisolti, anzi alimentati da decenni.
E però se il nostro territorio vuole ancora avere una speranza questa passa necessariamente attraverso la presa di coscienza di tutti, nessuno escluso.
La gente, quella comune, le vittime dello stato di cose, per intenderci, non possono chiamarsi fuori dal gioco.
Quando la posta in palio si alza, pericolosamente visto che è a rischio l’abc del vivere civile, la massa ha non solo diritti, ma anche doveri morali da esercitare. Anche mettendo a rischio – ulteriore – sé stessi; la massa ha il dovere di farsi sentire, di sottolineare che, come diceva Totò, “ogni limite ha una pazienza”.
Ed invece, a fronte di una classe dirigente incapace quando non gaglioffa, quella “stragrande maggioranza di Calabresi onesti” è informe più che inerme, ormai assuefatta a tutto, incapace di indignarsi di fronte a sprechi e ruberie, ad incapacità conclamate e privilegi crescenti, senza capire che, ad esempio, proprio dove finiscono i privilegi cominciano i diritti e se i primi aumentano a dismisura i secondi finiscono per scomparire inesorabilmente.
E chi assiste passivo all’elisione continua dei propri diritti fondamentali probabilmente non ha – poi – gran titolo per lamentarsi, perché ha ciò che si merita.
Così come la classe dirigente calabrese – intesa in senso più lato possibile – è esattamente ciò che i Calabresi si sono meritati, e soprattutto hanno scelto, anno dopo anno, lustro dopo lustro. La tragedia, però, sta nella considerazione per la quale alle spalle dei vecchi timonieri si affacciano altri il cui spessore etico-cultural-morale pare addirittura inferiore.
Troppo spesso abbiamo assistito in silenzio ad imprenditori che odorano di malavita, a politici che fanno gli affaristi, a magistrati che fanno politica, a giornalisti che oscillano tra il voler fare i giudici ed assecondare la straordinaria attitudine a vestirsi da cane di compagnia dei potenti, scodinzolante e tenero sul tappeto davanti al camino.
In questa sorta di apocalisse civile, culturale, socio-economica, i Calabresi hanno da sempre pensato che, piuttosto che alzare la voce, fosse molto meglio (certamente più facile) guadagnare a gomitate la scia della nave in attesa dei resti del banchetto lanciati dal ponte ed accreditandosi, nel frattempo, per essere le prime riserve, nel caso in cui – non si sa mai – si liberasse un posto a bordo del Titanic, anche nella stiva, tanto poi Dio provvede…
E così i pretoriani dei predoni aumentano, giorno dopo giorno, ed hanno da tempo abbattuto il loro già scarso spirito critico.
Troppi Calabresi vivono all’ombra dello pseudo potente protempore e per loro calzano a pennello i versi di Edoardo Bennato a proposito dei seguaci di capitan Uncino: “...ai suoi discorsi son sempre presente, ma non so bene cos’abbia in mente e non mi faccio più troppe domande. E non m’importa dov’è il potere, finchè continua a darmi da bere non lo tradisco e fino all’inferno lo seguirò…”
Come ha visto chi ha scelto di arrivare alla fine di questo fondo di fine anno ce n’è abbastanza per avvelenarsi il 31 dicembre e l'1 gennaio, ma anche abbastanza per smettere di dirsi le bugie raccontando (prima a noi e poi al Paese) che si, la Calabria ce la farà, sta ripartendo.
No, signori, la Calabria non ce la farà se chi sta nella stiva a remare e basta non pretenderà che i timonieri sbarchino al più presto e che al loro posto – in tutti i settori – ne arrivino altri che posseggano i necessari requisiti culturali, tecnici, etici e morali. Ma questi – ahinoi – non si possono comprare; questi stanno solo sui libri.
Ma, parafrasando ciò che disse un noto personaggio dello sport reggino ad un altro, altrettanto conosciuto: “tra me e te ci sono montagne di libri contro montagne di soldi…”
Felice anno nuovo, signori.