mercoledì 23 dicembre 2009

Caro Babbo Natale...



Caro Babbo Natale,
solitamente noi di strill.it abbiamo il compito di smistare le istanze della gente e
trasferirtele sotto forma di richieste, più o meno esaudibili.
Stavolta, però, la letterina te la scriviamo noi; è una letterina “sui generis”, il regalo che ti chiediamo è di farci cambiare.
Sissignori: caro Babbo Natale, se è possibile regalaci un momento di rinsavimento, di resipiscenza.
Per Natale vorremmo ritrovare la nostra coscienza collettiva, l’anima della cose, lo spirito di una comunità, il senso della polis, dello Stato.
Non sappiamo bene dove lo abbiamo lasciato, se qualcuno ce lo ha rubato poco a poco o se questo uomo nero che ci amministra, che gestisce i nostri sogni e la nostra vita quotidiana, in realtà lo abbiamo creato noi, esattamente – forse senza accorgercene – per come abbiamo voluto che fosse.
Il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha chiesto a gran voce, quasi implorato, alla gente di non votare per chi offre qualcosa in cambio.
Caro Babbo Natale, ecco, per questo Natale vorremmo – invece - che tu regalassi al Paese, alle popolazioni del Sud più che a quelle del Nord (perché c’è più bisogno) la forza di non chiedere a prescindere, la forza di non mercificare il proprio voto, la propria disponibilità al sostegno, elettorale, politico o amministrativo che sia.
E’ vero, caro Babbo Natale, che per essere liberi è necessario affrancarsi dal bisogno, ma il giochetto è banale ed un po’ meschino. Anno dopo anno la percezione del bisogno è salita sempre più inglobando nella sfera del necessario anche l’utile e spesso il superfluo.
Ed allora si può vivere bene e con la schiena dritta anche con un tenore di vita che non preveda automobili, telefoni cellulari, televisori lcd in nome dei quali, in nome di qualche centinaia di euro in più, troppo spesso la richiesta di favore, il clientelismo più basso e – quindi – più diffuso trova diritto di cittadinanza.
Caro Babbo Natale, per questo Natale, se puoi, restituiscici la voglia – prima ancora che la forza - di dire “no”, senza “se” e senza “ma”, la forza di indignarci, il coraggio – etico e morale – di mettere al bando comportamenti che la prassi tenta sempre più di assimilare ad una paranormalità ma che sono spesso illeciti, immorali e vietati dalla legge.
Ecco, un’altra cosa, caro Babbo Natale: per questo Natale, per favore, ridacci la lucidità e l’onestà intellettuale per chiamare le cose con il loro nome.
I ladri sono ladri in quanto rubano ed un extracomunitario è ladro quanto un politico, anzi moralmente lo è di meno, la “dazione ambientale”, terminologia inventata (e perseguita) dai magistrati di mani pulite negli anni ’90, non esiste. Erano (e sono) semplicemente dei meschini, volgari ladri.
Ladri di soldi (spesso), ma sempre ladri di opportunità, di speranze.
Caro Babbo Natale, per questo Natale facci tornare la forza per chiamare “ladro” o “delinquente” l’amministratore che i fatti e la magistratura abbiano definito tale, dacci la forza per combattere per il sovvertimento civile di bande di masnadieri che stanno troppo spesso a tenere il timone delle nostre vite, dacci la forza di resistere alla spinta, forse congenita nel nostro dna, di tentare in qualche modo di salire a bordo di questa sciagurata nave, piuttosto che tentare di affondarla.
Caro Babbo Natale, per questo Natale vorremmo regalata anche la capacità – morale e culturale – di tornare a distinguere il senso della legalità dal senso politico, come don Milani predicava quando l’Italia era giovane, piena di problemi, ma cercava una via, condivisa prima ancora che produttiva.
Il senso della legalità inteso come rispetto sacrale e senza distinzioni delle regole, siano esse statuali o etiche, il senso politico letto come spendita di ciascuno di noi per cambiarle queste regole quando non siano adeguate o, comunque, rispondenti al sentire popolare.
Ma finchè ci sono, finchè le regole sono vigenti, dacci la forza di fare prevalere, di sbandierare il trionfo del senso della legalità, estremo, inteso in senso asburgico come valore del dovere ed anche – perché no – della gerarchia costituita.
Solo dopo che ci avrai regalato tutte queste cose, caro Babbo Natale, potremo chiederti di regalarci delle cose che altri facciano per noi; ma solo dopo che ci avrai restituito un modo di essere che non ci appartiene più.
Caro Babbo Natale, noi non ti chiediamo indietro, come faceva Roberto Vecchioni – pentendosene immediatamente – “la mia 600, i miei vent’anni e una ragazza che tu sai…”, in quanto essi evocano semplicità e genuinità di valori, ma erano solo il frutto - oggi un po’ malinconico nel suo ricordo – di un modo di essere, non la sua genesi.
Buon Natale anche a te, Babbo; non preoccuparti…stavo solo scherzando…luci a San Siro non ne accenderanno più…